7 ottobre 2015

musica – FILARMONICA DELLA SCALA E NUOVA MUSICA


FILARMONICA DELLA SCALA E NUOVA MUSICA

Nell’ultima domenica di settembre si è tenuto l’ultimo concerto della stagione 2015 della Filarmonica della Scala. La dirigeva Daniel Harding e il programma era più che attraente, con la breve introduzione di una “contemplazione” di Charles Ives e la Quinta Sinfonia di Gustav Mahler.

musica34FBThe Unanswered Question è stata scritta da Ives nel 1906 per un organico a dir poco curioso: una tromba, quattro flauti e un quartetto d’archi che però, attenzione, devono essere invisibili. Harding ha infatti nascosto i nove musicisti fra i palchi e il retropalco mentre lui, sul podio,e quindi a palcoscenico vuoto, dirigeva il nulla. Un bel colpo di teatro – quasi antesignano di alcuni lavori provocatori di John Cage degli anni cinquanta (recentemente abbiamo riascoltato il suo famoso 4’33”) – ma il cui interesse musicale, nonostante sia da molti riconosciuto, a me è parso modesto. Per fortuna di durata molto breve.

Tutto è ovviamente cambiato con i primi squilli di tromba della Quinta di Mahler, scritta negli stessi anni, nella tonalità del do diesis minore e cioè la stessa del penultimo Quartetto di Beethoven, l’opera 131, e del meraviglioso Preludio opera 3 numero 2 di Rachmaninov. È la sinfonia forse più amata del compositore praghese, grazie alla Marcia Funebre che la introduce e ancor più grazie a quell’Adagietto con cui Luchino Visconti ha raccontato la trepidazione di Gustav von Aschenbach nella Morte a Venezia.

E tuttavia non è stato un grande godimento, nonostante Harding sembrasse mettercela tutta: il problema era evidentemente l’orchestra, della quale il maestro inglese, il giorno prima e quello successivo al concerto, ha detto meraviglie. Ma non sorprendetevi: non troverete mai un direttore che critichi in pubblico l’orchestra; se lo facesse, non potrebbe più dirigerla. Provate a sentirlo in privato e lo sentirete quasi sempre lamentarsi, anche pesantemente, di tutte le orchestre, a meno che non si tratti della “sua” orchestra. E mi spiego.

L’orchestra è un’azienda che produce cultura ed è fatta di professionisti, ma non di “liberi” professionisti. Non può autogestirsi. Persino i Berliner, che pure sono prussiani e non mediterranei, eleggono un direttore stabile con il quale costituiscono per anni un sodalizio fortissimo, basato proprio sulla sua autorevolezza e sul riconoscimento della sua autorità.

Questa è la ragione per cui oggi la migliore orchestra – quantomeno milanese, se non italiana (anche la Santa Cecilia di Roma, con Pappano, sta raggiungendo grandi risultati) – è la Verdi, perché ha un Corbani e il suo staff che vi si dedica con competenza giorno e notte, ne conosce le più intime pieghe e ne è – anche se può apparire politically incorrect – un illuminato padre-padrone. Ma chi è stato “il Corbani” della Scala negli ultimi anni? Daniel Barenboim? Stéphan Lissner? E pensate che potranno esserlo Riccardo Chailly o Alexander Pereira, con i loro mille impegni in giro per il mondo? Quando Abbado creò la Filarmonica della Scala, anche lui ne era a suo modo padre-padrone. E confesso di ritenere probabile che Fellini, mentre girava il suo film Prova d’orchestra, avesse in testa proprio l’orchestra milanese!

Il problema delle orchestre è il problema della loro direzione; la prassi secondo cui i direttori sono perennemente in viaggio da una capitale all’altra di tutti i continenti – e le regole di ingaggio prevedono solo un paio di “prove”, uno o al massimo due giorni prima del concerto, con la possibilità di essere sostituiti dai loro assistenti – è una prassi perversa, che sta togliendo alle orchestre di tutto il mondo la professionalità e la competenza necessarie per raggiungere grandi risultati.

Perché Abbado negli ultimi anni della vita ha voluto dirigere solo orchestre create da lui e da lui costantemente seguite? Quando fu pressantemente richiesto di tornare a dirigere alla Scala, volle che l’orchestra ospitante – che non dirigeva più da 26 anni – venisse integrata con la “sua” orchestra Mozart per assicurarsi il necessario feeling con i leggii.

***

Ma mentre alla Scala il pubblico era perplesso, due eventi totalmente diversi hanno invece entusiasmato i rispettivi pubblici: la prima esecuzione assoluta del melologo “Sull’acqua (sotto di noi il diluvio)” di Fabio Vacchi, sabato sera all’Auditorium di Milano e, il giorno dopo, un concerto per soprano, baritono e pianoforte di musiche islandesi all’Accademia Europea di Erba.

Ne parleremo la prossima settimana, ma non posso non annunciare i due programmi che hanno destato entusiasmi da stadio in occasioni e in ambienti tanto diversi.

Il melologo di Vacchi, molto ben diretto da Claire Gibault e perfettamente eseguito dalla Verdi, è scritto su un magnifico testo di Michele Serra che oserei chiamare “biblico” per la potente evocazione della presenza dell’acqua sulla terra e sotto terra, del suo rapporto con gli uomini, le cose, le fabbriche, le coltivazioni, con la città (Milano), il territorio (la Lombardia) e i grandi e piccoli canali (i navigli, le rogge) che lo disegnano; la preziosa orchestrazione di Vacchi, con l’uso appassionato e spregiudicato della tonalità e con le raffinate allusioni a pagine antiche come quelle di Grieg e di Prokof’ev, ha creato una tensione continua, in perfetta sintonia con la bella voce di Lella Costa, deliziando il pubblico che non smetteva di festeggiare autori e interpreti. L’inebriante sensazione di assistere alla nascita di una musica che resterà nella storia e fino a un’ora prima non esisteva, potrà sembrare banale ma è stata davvero potente.

Tutt’altra storia, ma una serata non meno eccitante e amabile, quella islandese che si è svolta domenica nel solito meraviglioso castello di Pomerio dove, sotto la discreta direzione di Stephan Coles, la soprano Hanna Fridrikdottir e il baritono Olafur Kjartan Sigurdarson, accompagnati al pianoforte da Vovka Ashkenazy, hanno eseguito un programma di Lieder romantici – talvolta pieni di humour e sempre di grande qualità – di quella terra estrema.

I due cantanti islandesi (anche Vovka Ashkenazy è nato in Islanda, durante il lungo periodo di permanenza della famiglia nell’isola dei Geyser) si sono alternati sul palcoscenico e a volte hanno duettato insieme, come nel bis di Bernstein, tratto da West Side Story, in cui viene evocato il tema del Lago dei Cigni di Čajkovskij. Una grande festa, con la potentissima e limpida voce baritonale di Sigurdarson e quella più discreta, ma delicatissima e colta, della Fridrikdottir docente della Accademia erbese, davanti a un pubblico molto internazionale che commentava in tutte le lingue d’Europa con la disinvoltura dei veri appassionati di musica che, proprio grazie a essa, si sentono cittadini del mondo.

Sabato e domenica 10 ed 11 ottobre, alle 19.30, l’Accademia di Erba terrà due concerti all’Expo nel padiglione della Romania; credo che siano due concerti da non perdere. Così come sarebbe auspicabile che l’Auditorium mettesse in calendario qualche replica del melologo di Vacchi – Serra perché non è giusto che solo pochi privilegiati o lungimiranti abbiano potuto goderlo.

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org



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