30 settembre 2015

VITTORIO BORACHIA UN URBANISTA GENTILUOMO


È mancato nel mese di agosto un amico, collega e maestro, Vittorio Borachia, architetto. Sono addolorato e voglio ricordarlo parlando di lui per quello che ho potuto conoscerlo. Era essenzialmente un uomo buono, con un’etica piuttosto stoica. Mi risulta che a vent’anni era in marina durante la guerra e forse un po’ di quella disciplina marinaresca lo aveva contagiato anche nella vita, aveva infatti le virtù dei grandi navigatori: onestà, coraggio, solidarietà, spirito d’avventura, riservatezza e culto dell’amicizia. Era nativo di La Spezia, città che lui amava anche se viveva a Milano e insegnava Urbanistica alla Facoltà di Architettura.

10spada33FBHo lavorato con lui ai piani delle oasi naturalistiche del mantovano, nei primi anni ottanta, cosi ho potuto conoscere il suo pensiero e la sua cultura. Abbiamo condiviso anche esperienze significative in quell’occasione come la scoperta a Castellaro Lagusello, mentre ispezionavamo il territorio da proteggere, di una porcilaia che aveva costellato il terreno di fosse dove venivano seppelliti i maiali morti per una epidemia e non vendibili. Il tanfo era pestifero e mentre io non resistevo Vittorio impavido continuava la sua indagine, tornato a casa avevo l’odore nelle nari che non accennava a sparire anche dopo una doccia abbondante. Oppure quando abbiamo navigato i laghi di Mantova in pieno inverno e dal freddo abbiamo dovuto rifugiarci nel santuario delle Grazie e scaldarci al calore delle candele in mezzo ex voto piuttosto inquietanti.

Vittorio nonostante appartenesse alla generazione che aveva creduto nella tecnica, nell’industria e nel progresso scientifico, tanto che disegnò, insieme a Carlo Santi negli anni ’50, una poltrona pieghevole in plastica per la Tecno, aveva comunque fin da giovane maturato un amore per la natura che lo portò ad abbracciare in architettura l’organicismo di Frank Lloyd Wright che aveva conosciuto a Taliesin West, dove aveva passato un po’ di tempo per seguire il maestro da vicino. Di questa influenza si può vedere la traccia nella casa da lui progettata per la sua famiglia sopra Albavilla in provincia di Como.

La sua attività professionale è stata prevalentemente dedicata ai piani urbanistici dove per la prima volta si nota il tentativo di coniugare lo sviluppo con la sua sostenibilità ecologica. Per lui il bello in architettura è il prodotto conseguente di una urbanistica ben fatta dove il lavoro dell’architetto si inserisce senza arroganza e provocazione ma con misura ed eleganza, frutto di una concezione aristocratica della sua opera, nel senso etimologico originario di «la migliore ». Ma è proprio sul versante dell’ecologia applicata al territorio, costruito e naturale, che osserviamo la sua novità, considerando i tempi, erano gli anni ’60, ’70 e ’80.

Fu infatti uno strenuo difensore del paesaggio come bene da conservare, soprattutto nella sua Liguria, ahimè sconvolta dalla speculazione, applicando norme e leggi atte a proteggerlo. Era stato uno dei fondatori dell’ILRES (Istituto Ligure di Ricerche Economiche e Sociali) negli anni sessanta e per lo stesso Ente aveva coordinato ricerche sulla trasformazione degli scenari di sviluppo del territorio che hanno costituito quadro di riferimento per la pianificazione regionale. Fu Presidente dell’INU Liguria dal ’65 al ’91. Numerose le sue pubblicazioni. Vittorio era politicamente un socialista riformista ed è stato uno dei miei riferimenti ai quali è dedicato il mio ultimo libro L’altro architetto, infatti la figura dell’insegnante nel dialogo socratico si attaglia bene alla sua persona e alla sua attività di professore e presidente della Fondazione Labò.

Maurizio Spada



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