16 settembre 2015

LE NOVITÀ DI PISAPIA: UNA GRANDE EREDITÀ PER CHI VUOL CONTINUARE


Ancora una volta Giuliano Pisapia, l’ultima occasione è stata la Festa dell’Unità, presentando il suo libro, scritto per raccontare la vittoria del 2011 e il “cambiamento di Milano”, ha sottolineato la necessità di una continuità con il passato recente vittorioso, inaugurato da lui stesso, pur rifiutando una sua nuova candidatura. Ha detto basta ai candidati destinati a perdere bene: “adesso a Milano si partecipa alle elezioni per vincerle e per continuare il buon governo”.

04negri31FBPisapia, come evidenziato anche da molti osservatori non di parte, ha certamente avuto il merito di aver introdotto un modo di fare politica nuovo in una metropoli che la giunta precedente di centrodestra aveva ingrigito e incupito. Ma soprattutto Pisapia ha vinto le elezioni perché ha saputo con la sua squadra inaugurare un modello nuovo di comunicazione politica, un modello innovativo di costruzione del rapporto fiduciario con i cittadini, di cui il prossimo candidato del centrosinistra dovrà assolutamente tener conto, se vorrà ripetere l’esito vincente del “miracolo arancione” delle elezioni del 2013.

La fiducia in un futuro candidato non può essere data per scontata e neppure può essere legittimata solo dai vertici o anche solo dai militanti di un partito pur importante come è quello democratico. La fiducia deve essere guadagnata porta a porta, sul campo, nei quartieri, nelle strade nelle periferie. Senza questa fiducia “diffusa” non si può vincere a Milano.

Ho avuto modo di analizzare e di soffermarmi proprio sulle potenzialità enormi del format fiduciario vincente di Pisapia e del suo staff e le strategie narrative di questo modello di buona comunicazione che ha prodotto anche una buona politica. Non c’è infatti buona comunicazione se non c’è buona politica, ma non c’è neppure una buona politica senza una buona comunicazione.

Nella narrazione messa in campo da Pisapia fin dalle primarie il “tu” a cui il futuro sindaco si rivolgeva era direttamente – senza intermediari – il cittadino milanese. Questa’ultimo è stato trasformato nel protagonista di un racconto vero, autentico: un racconto coinvolgente e di coinvolgimento. Un racconto partecipante e partecipato in modo reale. I desideri, le speranze, le aspettative dei Milanesi, cioè il “voler fare”, e il fare di quel “tu”, rappresentato dal popolo di Milano delle periferie e del centro, era diventato più interessante di ogni altra cosa, più dei diktat di partito, più degli appelli alla paura degli avversari. Pisapia ha costruito il suo programma e di conseguenza la sua comunicazione pubblica, come un mandato che lui aveva ricevuto dal basso.

Come scrisse nel suo diario elettorale delle primarie: “il primo appello a candidarmi è arrivato da Facebook. Qualcuno ha aperto una pagina che dice: Primarie subito. Giuliano Pisapia sindaco di Milano”. Tutto parte da qui. Fin dall’inizio il mandato che si chiama “Pisapia sindaco di Milano” viene direttamente da persone del popolo che rilancia un desiderio di cambiamento che esisteva, che era nell’aria. In un paio di giorni arrivarono moltissimi messaggi di sostegno: tutte sanzioni euforiche rispetto al valore di questa candidatura. E questa volta non si trattava di una finzione, di un simulacro, come era stato il discorso della discesa in campo Berlusconi in cui il Cavaliere parlava di un mandato da parte del popolo italiano, che in realtà non aveva mai ricevuto. La decisione di candidarsi, di scendere in campo era stata solo sua e dei suoi amici-collaboratori. In pratica Berlusconi aveva solo costruito un simulacro conversativo simul-vero di un mandato popolare: “voi” mi chiedete e “io” scendo in campo.

Invece per Pisapia il mandato popolare è stato reale. Lui sa di possedere le competenze per fare, ma sa anche che l’avventura non può e non deve essere giocata da solo. Partono così incontri, contatti, relazioni personali, momenti di aggregazione collettiva, di partecipazione che costituiscono il fulcro della sua performanza nelle primarie prima e nelle elezioni amministrative poi. Si crea un soggetto politico che si proietta fuori di sé e si sparpaglia in centinaia di soggetti attivi sul territorio, in pratica in tanti narratori che portano avanti microstorie su Milano e in tanti narratori che raccolgono storie dal popolo, dai quartieri, dal centro alle periferie. Ogni comitato di quartiere e di zona è formato da volontari che raccolgono idee e progetti su Milano, facendosi portavoce di chi non ha mai avuto voce in capitolo e quindi non ha mai potuto farsi ascoltare.

Sempre in una sua pagina di diario del 22 ottobre 2010, il futuro sindaco di Milano, consapevole di questo straordinario fenomeno di debrayage che si è prodotto in città, scrive: “E invece che raccontarvi cosa ho fatto io, oggi comincerò a raccontarvi quello che avete fatto voi. Voi siete quelli che credono nella possibilità di ribaltare Milano […] Voi siete tantissimi. E io vorrei ringraziarvi uno a uno […] Dove arrivavo c’era tanta gente. Ma dove eravate nascosti, ragazzi, in questi anni?”. E ancor prima nella pagina del 5 settembre 2010: “voglio che tutti insieme ce la facciamo a cambiare in meglio la nostra società. Perché ce la possiamo fare. Tutti insieme, sono certo, ci riusciremo”. Ancora nel discorso al teatro Litta del 25 giugno 2010: “Oggi ho deciso, abbiamo deciso, di presentarci ufficialmente, con le nostre facce, le nostre idee, le nostre speranze […] Oggi siamo qui per dire: noi, io, ci metto la faccia, e chiunque sia disposto a collaborare con me per il benessere della mia, della nostra città, sarà accolto a braccia aperte”.

In questo modo si crea un consenso elettorale che passa attraverso una forma di patto comunicativo che potremmo definire come un contratto di “sharing-trust”. La fiducia nei suoi confronti aumenta attraverso una condivisione non solo di programmi, ma anche di azioni, attraverso un coinvolgimento progettuale ma anche fattuale. Il narratore-protagonista è colui che sa “fare insieme”, sa condividere esperienze e idee con i suoi potenziali elettori. È lo story-telling partecipativo che ha come titolo: “La fiducia siamo noi”. Ogni cittadino, ogni Milanese si è sentito in prima persona protagonista, o almeno co-protagonista di un grande racconto .

Il futuro candidato del centro-sinistra oltre a vincere le primarie di coalizione dovrà vincere questa sfida fiduciaria con il popolo milanese, seguendo le orme tracciate dal suo predecessore attraverso quel modello di story-telling di cui ho parlato in precedenza. Non serve un candidato carismatico e tanto meno un capo populista per arrivare ad essere il primo cittadino di Milano. Serve soprattutto un efficace sharing-leader.

 

Alberto Negri

Docente di semiotica – Università Cattolica

 



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