16 settembre 2015
TAXI THERAN
di Jafar Panahi [Iran, 2015, 82′]
con Jafar Panahi
Orso d’oro strameritato quello di Taxi Theran di Jafar Panahi, un film che unisce ironia, poesia, amore per la narrazione, senso di libertà. Realizzato con scarsi mezzi: una telecamera, dei telefonini e un taxi, dimostra che, a volte, per un’opera non occorrono abbondanti risorse. E di risorse Jafar Panahi, un regista iraniano al quale il regime ha vietato di girare film per 20 anni, ne ha poche a disposizione. Nonostante la proibizione il regista ha girato tre pellicole, l’ultima è Taxi Theran.
Sarà che le costrizioni aguzzano l’ingegno ma con un’idea semplice e, appunto, geniale Panahi ha realizzato un film unico. Ha montato su un taxi una telecamera si è calato nel ruolo del conducente e ha filmato ciò che è accadeva nell’abitacolo. Il taxi e la strada sono stati il suo set. Gli attori, coraggiosi professionisti, paiono persone comuni e replicano sui sedili situazioni di vita quotidiana. Sul taxi collettivo assistiamo così alla discussione tra un giovane uomo e un’insegnante sull’utilità delle esecuzioni capitali (l’Iran è il secondo paese al mondo dopo la Cina), conosciamo un venditore di film e videogiochi proibiti dalla censura, un uomo ferito in un incidente e in fin di vita che chiede un telefonino per registrare le sue ultime volontà e impedire che la moglie venga privata dei beni solo perché donna, due anziane superstiziose con boccia di pesci rossi e un’avvocatessa che difende una giovane imprigionata solo perché trovata nei pressi di uno stadio.
Il regista accoglie sul taxi la sua nipotina che, benché giovanissima, studia cinema a scuola e deve partecipare a un concorso e per questo gli chiede consigli. È chiaro che gli insegnamenti scolastici promuovono l’autocensura e la santificazione del regime, scosso anche nel recente passato da rivolte.
Nonostante ciò nella narrazione del film tutto è spontaneo, raccontato con levità, e una fluidità lontana da proclami e rigide prese di posizione. Lo sguardo del regista è rispettoso, volto a cogliere gli eventi nel loro accadere, a mostrare la quotidianità che racchiude anche aspetti poetici accanto alla fatica e alle ingiustizie. Così facendo Panahi compone “una lettera d’amore per il cinema” e per la vita, come è scritto nella motivazione del premio che ha ampiamente meritato.
Una piccola curiosità, questo film è privo di titoli di testa e di coda. La ragione ce la spiega lo stesso Jafar Panahi: «Il Ministero della Cultura e dell’Orientamento Islamico convalida i titoli di testa e di coda dei film «divulgabili». Con mio grande rammarico, questo film non ha titoli. Esprimo la mia gratitudine a tutti coloro che mi hanno sostenuto. Senza la loro preziosa collaborazione, questo film non sarebbe mai venuto al mondo.»
Dorothy Parker
LE VIE DEL CINEMA
Dal 21 al 28 settembre a Milano sarà presentata una selezione dei film presenti alla 72.a Mostra Internazionale del Cinema di Venezia e di Locarno
questa rubrica è a cura degli Anonimi Milanesi