16 settembre 2015

musica – MI.TO. & MA.MU.


MI.TO. è partito con la sua raffica di concerti e con MI.TO., quest’anno, è partito anche MA.MU. (potenza delle sigle!). Mentre MI.TO. Settembre Musica è, come tutti sanno, il “Festival Internazionale della Musica Milano Torino” (da cui la sigla), MA.MU. è, come pochi ancora sanno, una cosa tutta milanese, appena nata, e tuttavia già importante. MA.MU. è la sigla che sta per MAgazzino di MUsica ed è un nuovo grande negozio in Porta Romana (in via Soave 3 per la precisione), un loft molto versatile dedicato alla conoscenza, alla divulgazione, alla fruizione e condivisione della musica classica, in particolare agli studenti, ai professionisti e soprattutto agli appassionati.

musica31FBMA.MU. è un negozio vero e proprio per la vendita e lo scambio di libri, spartiti e strumenti, nuovi e usati, ma è anche un amabile ambiente – bar -caffetteria dedicato a incontri culturali, alla presentazioni di libri e dischi, a concerti da camera, a masterclass. Si è inaugurato il 5 settembre scorso con una bella festa piena di gente (compositori, interpreti, critici e persino il gentilissimo Assessore alla Cultura che come si sa è un musicista) e ha già in programma per i prossimi giorni le presentazioni di un CD e di un libro; venerdì 18 alle 18.30 Davide Cabassi presenterà il suo nuovo disco dedicato al pianismo di Beethoven mentre sabato 19 alle 19 Stefano Molinari presenterà il suo volume “Il canto del capro” (edizioni ExCogita). Come per l’inaugurazione, entrambe le serate saranno condite con buona musica dal vivo.

Dei tanti concerti di MI.TO. di cui si è parlato in questi giorni, racconterò di quello che si è tenuto al Conservatorio mercoledì 9 con Salvatore Accardo e il suo complesso da camera, il cui programma prevedeva il Quintetto in fa minore per pianoforte ed archi di César Franck e il Concerto per violino, pianoforte e quartetto d’archi opera 21 di Ernest Chausson. Accardo ha il merito di circondarsi per la musica da camera di ottimi musicisti e in particolare della violinista Laura Gorna – prima sua allieva, poi compagna e madre delle sue figlie – della pianista Laura Manzini e della ormai ben nota violoncellista Cecilia Radic (tre ottime musiciste, molto affiatate, che da oltre dieci anni suonano insieme nel magnifico Es-Trio). A essi si aggiunge spesso il violista Francesco Fiore, prima viola dell’Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma, per formare – con o senza Accardo – quartetto e quintetto. Anche questa volta erano tutti e cinque insieme ma per il Concerto di Chausson, ove occorre un terzo violino, si è aggiunta Myriam Dal Don.

Con il Quintetto per due violini, viola, violoncello e pianoforte di Franck, del 1879, siamo di fronte a un capolavoro molto amato, di incredibile modernità, ascoltato in tante occasioni e ormai – insieme all’omologo quintetto di Brahms – consacrato fra i prototipi di questa forma musicale. Del Concerto per violino, pianoforte e quartetto d’archi (uno stranissimo organico) del suo allievo Chausson, scritto solo tredici anni dopo, si può invece molto discutere; piace a molti ma non a tutti, me compreso, e soffre del malessere tipico di quell’epoca di passaggio fra romanticismo e simbolismo, quando Wagner era morto da solo nove anni, Brahms era già vecchio (morirà cinque anni dopo), Mahler aveva trentadue anni, Debussy (che  per un breve periodo fu allievo di Chausson) solo trenta e Schönberg, incredibile, già diciotto! Un momento straordinario in cui tutto cambiava con una rapidità impressionante. E su questo processo di trasformazione, e su come in quei tredici anni è cambiato il mondo, ci ha fatto riflettere assai bene il confronto fra Franck e Chausson.

Anche la scelta della “consecutio” dei tempi e della loro titolazione ci dice qualche cosa sui due diversi modi di comporre: da una parte Franck parte da un Molto moderato quasi lento, passa per un Lento con molto sentimento e conclude con un Allegro non troppo ma con fuoco, dicendoci con grande chiarezza la passione che lo anima. Dall’altra Chausson ordina dapprima un tempo denominato Décidé (che vuol dire assai poco) cui seguono una Sicilienne, pas vite e un Grave, per chiudere con un Finale, très animé; molta accademia, come si vede, e anche il significativo abbandono dell’italiano internazionale a favore della lingua nazionale.

L’organico scelto da Chausson non ha avuto grande seguito anche perché, credo, è assai sbilanciato: i due solisti – violino e pianoforte – avrebbero bisogno di dialogare non con un quartetto d’archi ma con una orchestra d’archi, ancorché da camera. Per quanto incisivi possano essere stati (e nonostante la potente forza di persuasione di un violoncello come quello della Radic), gli archi del quartetto non riescono a costituire un reale contrappeso alle due parti solistiche; il risultato che ne consegue è quello di uno scialbo sestetto. Anche la scrittura del Concerto mi è sembrata debole, quasi scolastica, come peraltro viene dimostrato sia dall’inutile complessità della parte del pianoforte – che ha persino messo in affanno la povera Manzini – sia dalla scarsa consistenza della parte per violino solo che certamente non ha fatto emergere le indubbie qualità di Accardo (per tacere della lungaggine del finale che nulla ha a che vedere, ovviamente, con la celebre “divina prolissità” dell’amato Schubert!).

Non posso tuttavia negare che si sia trattato di un concerto assai interessante, sia per il felice e significativo accostamento dei due pezzi (tanto diversi ancorché nati nella stessa epoca e nello stesso ambiente culturale) sia perché entrambi sono di non frequentissimo ascolto. Mi ha lasciato invece molto perplesso il programma di sala sia perché non era firmato (come si fa ad accettare l’anonimato di un pezzo di critica musicale? ma purtroppo questa brutta abitudine la troviamo anche nei programmi di sala delle “Serate musicali”) sia per il modo molto provinciale di indicare i nomi degli interpreti: ogni nome era giustamente seguito dall’indicazione dello strumento di competenza ma non quelli della coppia Accardo e Gorna (che se erano solisti in Chausson erano quintettisti come gli altri in Franck). Dunque era come dire “due sono troppo celebri per dovervi dar conto di che strumento suonino, degli altri non sapete nulla e vi dobbiamo spiegare”. Non è italietta questa?

 

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org



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