9 settembre 2015

MILANO: VERSO IL SINDACO DI CHI?


Il percorso verso il prossimo turno elettorale per l’elezione del sindaco e il rinnovo del Consiglio Comunale era partito male e, se possibile, prosegue peggio: la telenovela della ricandidatura di Giuliano Pisapia se dovesse andare ancora avanti diventerebbe grottesca. La Festa dell’Unità – “C’è chi dice sì” – non sembra aver spostato Pisapia che invece dice no. Il premier Renzi in chiusura ha fatto l’ultimo tentativo e poi si è limitato ad augurarsi che il sindaco uscente guidi la scelta del suo successore e la conferma del “modello Milano”. Cosa questo voglia esattamente dire non mi è chiaro: formula delle alleanze? Modo di amministrare? Rapporto con i cittadini? Gli slogan sono il rifugio dell’incertezza.

01editoriale30FBInvece la designazione del successore, se a questo alludeva Renzi, è un’operazione che in democrazia ha qualcosa di scostante: ricorda la monarchia, i riti tribali o le peggiori dittature. Andiamo avanti per la via maestra con le primarie sciogliendo al più presto i dubbi sul come farle.

Le prossime elezioni hanno due aspetti distinti ma strettamente legati tra di loro: il coefficiente di rappresentatività della classe politica e il coefficiente di rappresentatività del vincitore del confronto: chi rappresenta chi.

Il coefficiente di rappresentatività è dato dalla percentuale di voti espressi rispetto agli aventi diritto al voto. È interessante vedere come sono andate le cose negli ultimi anni, premettendo una piccola considerazione: nel 1990 gli elettori erano 1.229.279 e nel 2011 solo 996.400. Abbiamo perso per strada quasi il 20% in poco più di vent’anni. Milanesi andati via. E anche questo è un tema di riflessione.

Ma veniamo ai dati: nel 1970 (Consiglio Comunale) votò il 94% degli aventi diritto; nel 1990 (Consiglio Comunale) si scese all’84%; nel 1993 (sindaco Formentini) votò il 78%; nel 1997 (sindaco Albertini) il 71%; nel 2001 (sindaco Albertini 2) l’81%; nel 2006 (sindaco Moratti) il 67,5%; nel 2011 (sindaco Pisapia) votò il 67,6%.

L’Albertini 2 con il 57% di voti a suo favore e l’81% degli aventi diritto al voto rappresentava legittimamente il 46% dei milanesi (496.000 su 1.100.000): una soglia ragguardevole ancora insuperata, anzi; questo tanto per sottolineare che chi dice (Renzi) di avere in città – elezioni europee – il 44% dietro di sé, meglio sarebbe dicesse che per il Pd ha votato il 26% dei milanesi (257.000 voti su 973.000 aventi diritto). Un’altra musica: uno su quattro.

Per capirci, se alle prossime amministrative la percentuale dei votanti dovesse scendere sotto la soglia del 67% (percentuale comunque alta rispetto ai dati nazionali di qualunque consultazione recente) e magari in maniera sensibile, ipotesi non del tutto peregrina, rappresenterebbe la sanzione più grave verso l’intera classe politica milanese, destra o sinistra che sia.

La ripartizione della responsabilità sarebbe facilmente individuabile osservando i voti al primo turno delle prossime amministrative, sempreché lo scenario delle liste sia decifrabile e confrontabile con i risultati della precedente consultazione.

Articoliamo il discorso per la sinistra (chi ci sia dentro è ancora da definire). Il minimo sindacale sarebbe di portare a casa almeno 316.000 voti – quelli del 2011- ma non è detto che siano sufficienti per vincere: l’illusione dello spappolamento del centrodestra è pericolosa perché un terzo dei milanesi alle ultime consultazioni è stato a casa e potrebbero rifarsi vivo con effetti imprevedibili e l’incognita M5S.

Ammesso ovviamente che per la sinistra l’obbiettivo sia vincere, potrebbe succedere di vincere con meno dai famosi 316.00 voti, se il temuto crescente assenteismo colpisse in egual modo destra e sinistra, magari arrivando a percentuali di votanti del 50-55% vicine a quelle nazionali. Magari arrivando a solo 250.000 voti. Questo vorrebbe dire eleggere un sindaco votato da uno cittadino su quattro: la metà dell’Albertini 2.

A mio modo di vedere sarebbe una situazione penosa a difficile perché con quelle percentuali di rappresentatività non si riesce a “governare” una città, soprattutto non si governerà Milano che per non perdere lo slancio della Giunta Pisapia e il vento in poppa di Expo ha bisogno di una forte identificazione con chi la guiderà: i comportamenti personali saranno determinanti.

Se il dibattito per la scelta del nuovo sindaco d’ora in poi sarà letto come un affare interno al Pd, al suo rapporto con chi gli sta a sinistra, con ammiccamenti alla destra, con il finto ascolto del “territorio” e il linguaggio politichese, ma nessuna chiarezza sulle cose da fare in futuro (che sono altro dello slogan sulla “visione” del quale siamo un po’ stufi), non sarà facile venirne a capo e comunque il rischio della scarsa rappresentatività non sarà scongiurato.

Luca Beltrami Gadola

P.S. Detto tra noi: ma cosa c’è ancora da ascoltare? Dove è vissuto negli ultimi anni chi ha questo problema? Forse ora c’è da rispondere.



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