9 settembre 2015

musica – UN BUON INIZIO DI STAGIONE


UN BUON INIZIO DI STAGIONE

Mentre parte il ciclone MI.TO. con la sua programmazione spumeggiante (e a mio avviso spaesante per le troppe proposte e troppo variegate, tanto che gli stessi promotori titolano la presentazione del festival Smarrirsi in una galassia di suoni, e c’è da chiedersi quanto “smarrirsi” sia cosa buona), il Comune di Milano si presenta all’inizio della stagione con una iniziativa molto positiva e assai poco pubblicizzata, forse eccessivamente timida. È una stagione – si fa per dire -con il nome di Palazzo Marino in musica composta da tre concerti che si tengono le prime domeniche dei mesi estivi (2 agosto, 6 settembre, 4 ottobre) nella sala Alessi, la sala di rappresentanza del nostro bel Municipio: pochi posti, ingresso libero, coda come sempre, programmi di grande interesse.

musica_30Il concerto di domenica scorsa è stato una vera delizia a dispetto dei pregiudizi – di cui talvolta, non nego, sono vittima anch’io – sulla musica contemporanea e sugli organici almeno apparentemente strampalati: un concerto per orchestra di flauti, clavicembalo amplificato, musica elettronica e percussioni nel corso del quale sono stati eseguiti due brani ormai classici di Bruno Bettinelli (1913-2004) e di John Cage (1912-1992) e tre prime esecuzioni assolute di Ruggero Laganà (1956), Danilo Zaffaroni (1963) e Lorenzo Erra (1967). Tutta musica molto attuale e felicemente godibile sia da orecchie abituate alla classica contemporanea che da quelle a essa meno avvezze.

Introduzione e Allegro di Bettinelli è un pezzo ben noto del 1977 scritto per soli flauti – ben undici giovani strumentisti, magnifici, della Orchestra di Flauti del Conservatorio di Milano – con già i crismi della classicità. Pur essendo allora rivoluzionaria, e non avendo ancora quaranta anni di vita, non sembra neanche musica contemporanea nel senso che oggi attribuiamo al termine: con la sua sobrietà e compostezza appartiene già a pieno titolo al fluire continuo della storia della musica. Assolutamente contemporanee, invece, le composizioni L’isola delle Sirene di Laganà, Spazi sonori di Zaffaroni e Shining Wake di Erra. Qui occorre fare delle distinzioni perché si tratta di compositori molto diversi fra loro e di proposte non comparabili.

L’isola delle Sirene è una composizione straordinariamente suggestiva ed evocativa, che avvolge totalmente l’ascoltatore trascinandolo lontano dal senso di realtà, rendendolo preda di timori ancestrali e insieme facendogli provare emozioni profonde; lo porta in mezzo a un mare sconosciuto, in un mondo intriso di fascino e di mistero, come per rivelargli qualcosa che ha sempre paventato e mai osato guardare in faccia. Un brano di quindici minuti in cui il clavicembalo – pizzicato, accarezzato, amplificato – unisce il suo morbido suono a quello degli undici flauti e delle percussioni (quattro funamboli alle prese con ogni tipo di strumento), e soprattutto a un delicato sottofondo di musica elettronica con il quale crea ricchissime sonorità e sconosciute armonie. Se è vero che la paura di ogni compositore è quella di annoiare – si sa che la musica ha assoluto bisogno della ripetizione (del ritornello) per farsi conoscere e riconoscere – Laganà questo scoglio l’ha superato alla grande perché la sua musica non dà respiro all’ascoltatore e l’avvolge al punto di impedirgli di distaccarsi e di distrarsi. Un pezzo da ascoltare più e più volte per poterlo possedere fino in fondo.

Spazi sonori è un interessante esempio di musica post-moderna che, senza nostalgie del passato, recupera la classicità della composizione musicale, riscopre le regole del contrappunto e dell’armonia, soprattutto si giova di un’orchestrazione sofisticata e stimolante; Zaffaroni – fagottista solista e in orchestra, didatta e compositore cresciuto nel Conservatorio milanese – scrive questo pezzo con grande levità e ironia, affida una curiosa cadenza alle percussioni, e poi forse perde un poco di ispirazione nella ripresa, senza tuttavia lasciar scemare la qualità complessiva dell’opera.

Non altrettanto può dirsi di Shining Wake, pezzo poco ispirato e senza veri contenuti musicali, con il quale il jazzista Erra – che già nel titolo allude a un esotismo di maniera – si limita a proporre belle sonorità che possiamo definire etniche o tribali senza farle seguire da una adeguata elaborazione.

Straordinario invece il pubblico per come ha reagito al celeberrimo (ma non necessariamente noto a tutti i presenti) pezzo di Cage del 1952 dal nome misterioso: 4’33”
per qualsiasi strumento. Quattro e trentatre sono i minuti e i secondi che dura questa composizione in cui i soli suoni percepibili sono quelli ineludibili dell’ambiente (salvo sofisticati esperimenti scientifici non esiste il silenzio assoluto) e quelli dovuti al prevedibile nervosismo del pubblico. Il quale pubblico – ancorché domenicale, mattutino e probabilmente poco avvezzo alle sale da concerto e alle provocazioni del grande musicista americano – si è rivelato molto comprensivo, disciplinato, consenziente, forse anche grazie alla perfetta mimica del direttore Diego Collino che – come le belle statuine – è rimasto immobile nel gesto dell’attacco fino a quello della conclusione.

Un magnifico concerto che è sembrato volere la riconciliazione del pubblico con la musica contemporanea, all’insegna di un colto e sintetico riassunto delle nuove tendenze e prospettive.

questa rubrica è di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org a cura



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