2 novembre 2009

KAMIKAZE MON AMOUR


Parlo per partito preso. È il partito di chi è nato e vissuto fino agli inizi degli anni Ottanta in via Civitali, la via da dove si è mosso il primo kamikaze dell’era islamica milanese. Un quartiere popolare animato da innumerevoli sedi di partito, movimenti. Sono stato compagno di scuola alle elementari di Alberto Brasili, ucciso da una banda di fascisti impasticcati in via Mascagni. Potrei raccontare il Sansiretto per pagine e pagine. Un’epopea popolare oggi annichilita, ridotta a sagome curve che si trascinano in ciabatte accostando burqa e veli, marocchine emancipate vestite come puttane e macellerie con gli schizzi dei tranci di carne sui vetri.

Singolare la fretta nel liquidare la dimensione simbolica del gesto, tutti impegnati a valutarne la gravità, diciamo, così fattuale, vale a dire pressoché nulla. Ma possiamo dire che le cose stanno in questo modo anche per quanto riguarda il simbolico, che è il piano su cui andrebbero davvero letti questi eventi? Singolare disattenzione, in una città in cui tutto è elevato a stato iconico-simbolico, dalla moda all’attività politica, dalle manifestazioni culturali a quelle sindacali. Nel caso del kamikaze, nulla: il fatto e poi basta, smentite sulla matrice qaedista dell’evento, attenuazione delle preoccupazioni per eventuali ripetizioni; cane sciolto; isolato ecc.

La penso in tutt’altro modo. Sono convinto che il fatto che si sia potuto verificare un evento del genere ponga nella condizione di reiterarlo un numero significativo di appartenenti alla comunità islamica. Condizione non significa che lo faranno, dico che potrebbero farlo perché lo spazio tecnico-simbolico per il verificarsi di un attentato suicida è stato aperto dal Game. L’emulazione, magari supportata da legami, tutti da dimostrare, con realtà organizzate qaediste o similari, è un effetto ricercato da azioni di questo tipo. La pedagogia del kamikaze sarà rozza ma tragicamente efficace. Il falimento tecnico chiama al perfezionamento e alla messa a punto, certo non scoraggia: quello che non è riuscito oggi, domani chissà…

In ogni caso lo spazio è aperto e sarà l’evoluzione della situazione interna alla comunità islamica a determinare i prossimi eventi. Affermo qualcosa di grave: è quella discussione, perché sicuramente c’è una discussione in corso, a determinare cosa accadrà e cosa no nella nostra città. Non siamo certo noi, la cosiddetta società civile milanese a poter dire la propria in questo genere di cose. I milanesi ne sono esclusi, mi pare evidente. Questo non va bene, soprattutto se da parte di questa stessa società civile si nutre l’illusione che ci troviamo di fronte solo a disagio sociale, a mancata integrazione o simili troppo temperate considerazioni. Il gesto di Game è un gesto politico e Milano non dovrebbe sopportare che ci siano soggetti, più o meno coordinati tra loro, che impongano azioni politiche di questa natura.

L’analogia con il terrorismo degli anni Settanta non funziona, o meglio, quella era una situazione che confrontata all’attuale definisco di totale trasparenza: a San Siro le risoluzioni strategiche delle BR erano nei bar, si leggevano insieme alla Gazzetta dello Sport. Contrastare azioni politiche armate era un compito che, seppur lentamente, il mondo politico-sindacale di allora si pose con determinazione. Ma oggi? Se neppure si vuol riconoscere il significato politico-simbolico di un attacco kamikaze in territorio italiano cosa dovremo aspettarci? Ecco, è questa gommosità del discorso politico milanese a inquietare. Gommosità bipartisan, perché in definitiva né gli uni né gli altri dei due poli che si contendono l’egemonia (ma va là!) hanno interesse, per motivi diversi e contrastanti, a leggere politicamente il gesto di Game.

Quelli al governo perché dovrebbero ammettere che le politiche securitarie non sono la risoluzione di alcunché, almeno se condotte nel modo in cui sono condotte attualmente; l’opposizione, soprattutto quella culturizzante, perché certificherebbe l’impotenza di appelli al dialogo e alla transculturalità che ai destinatari, agli islamici, importano come il due di picche. A meno che, questi discorsi non hanno come destinatario il famoso altro da sé che la retorica para e infra filosofica del mantra progressista esige per togliersi lo stigma del possibile razzismo, ma sono fatti come al solito ai soliti, cioè al popolo residuale di via Civitali. Il quale si è visto il quartiere stravolto e degradato da un numero di popoli almeno pari all’incapienza del proprio portafoglio, tanto che mi viene il sospetto (per carità, solo il sospetto) che a un certo punto agli amministratori di questa disgraziata città sia venuta la buona idea di sostituirsi alle agenzie di viaggio: dal momento che non avete i soldi per andare in Marocco, Algeria, Egitto ecc. ve lo portiamo in casa e con una semplice trattenuta sulle spese di manutenzione delle vostre povere case vi potete gradevolmente aggiornare sulle ultime sure del Corano.

Meglio di così si muore!

 

Riccardo de Benedetti



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