2 novembre 2009

IL COMUNE E IL SISTEMA OSPEDALIERO


Il sistema sanitario pubblico di Milano è uno tra i più importanti poli di offerta di servizi sanitari a livello nazionale.

Per migliorarne l’efficienza il breve governo regionale di centrosinistra (nell’ormai lontano 1992/93) commissionò al CERGAS dell’università Bocconi una ricerca finalizzata a studiare possibili modelli di riferimento per la gestione di gruppi multiospedalieri pubblici a livello internazionale, con l’obiettivo di indicarne uno possibile per il coordinamento della rete ospedaliera della Città di Milano.

La ricerca ha analizzato un gran numero di modelli presenti nelle maggiori città d’Europa (Londra, Parigi, Monaco, Lione), nella città di New York e nell’intero territorio svedese propose per Milano un modello di Azienda unica cittadina che veniva definito NAOMI (Network Aziende Ospedaliere Milano).

Successivamente i legislatori regionali non hanno seguito quella indicazione, anzi sono andati in una direzione opposta favorendo di fatto una atomizzazione del sistema che oggi risulta così composto:

–     cinque aziende ospedaliere autonome (Niguarda, Fatebenefratelli, S.Paolo, S.Carlo, G.Pini);

  • una Azienda ospedaliera atipica che raggruppa pezzi degli Istituti Clinici di Perfezionamento, il Buzzi, la Macedonio Melloni, la rete degli ambulatori pubblici presente su tutto il territorio di Milano e (dal gennaio 2009) gli ospedali di Sesto S.Giovanni e Cinisello che erano prima associati ad ospedali della Provincia di Monza-Brianza;
  • tre Istituti a carattere scientifico (Policlinico, Tumori, Besta) che di fatto dipendono dal Ministero della Sanità.

Il solo progetto di razionalizzazione di qualche rilievo è stata l’incorporazione del settore materno infantile degli ICP (la Mangiagalli e la De Marchi) nel Policlinico accentuando in qualche modo il suo distacco dalla medicina di territorio rappresentata in questo settore dalla rete dei consultori che sono stati ulteriormente ridimensionati e marginalizzati.

Mentre per tutti gli ospedali pubblici milanesi si è incoraggiata di fatto una ricerca dell’autarchia sia nei modelli di gestione che nei meccanismi di ristrutturazione, il settore privato ha fatto e sta facendo scelte di creazione di network, di sperimentazione di modelli gestionali e organizzativi innovativi.

Il S.Raffaele ha ampliato enormemente la sua struttura istituendo un dipartimento di ricerca, inglobando la rete delle cliniche Ville Turro, moltiplicando i presidi di offerta su tutto il territorio cittadino.

L’Humanitas di Rozzano sta sperimentando un modello innovativo di Azienda Ospedaliera con pochi letti di degenza e una rete amplissima di servizi che lo stanno portando a incorporare altre realtà di offerta sanitaria.

L’Istituto Oncologico Europeo ha potenziato l’offerta nel settore della cura dei tumori, il Monzino e la clinica S.Donato stanno di fatto egemonizzando l’offerta di qualità nel settore cardiologico prima saldamente nelle mani delle strutture pubbliche.

I privati stanno programmando le più significative operazioni di potenziamento della rete ospedaliera di Milano; oltre alle cose già ricordate va sottolineato il progetto di creazione del CERBA con lo spostamento del Monzino vicino allo IEO e la creazione in quell’area della Bethesda italiana (peccato che sia praticamente in mezzo alla campagna in una zona assolutamente mal collegata da un punto di vista viario e poco servita da mezzi pubblici).

Nessuna delle scelte compiute è stata pensata in un contesto adeguato di programmazione urbanistica: il S.Raffaele ha affastellato un gran numero di strutture in modo caotico e disordinato, anche se con il trenino a fune ha migliorato in parte la sua accessibilità e si spera che la sistemazione in corso dell’area intorno alla stazione di Cascina Gobba la migliori ulteriormente.

Anche per il Monzino l’ipotesi ventilata di una sua possibile ricollocazione nello stesso territorio recuperando l’ecomostro adiacente alla struttura non è stato possibile verificarla in nessun contesto, anche se avrebbe potuto contribuire al risanamento complessivo della zona di Ponte Lambro.

In ogni caso il privato sta dimostrando grande dinamismo mentre il pubblico si è finora limitato alla sola operazione del Policlinico: anche qui siamo in presenza di una ristrutturazione infinita e caotica non essendo stato possibile impostare un programma di razionalizzazione che ne prevedesse il decentramento con collegamenti viabilistici e di mezzi pubblici adeguati.

L’unica operazione pubblica comparabile con quanto già programmato o attuato dai privati è quella che prevede la creazione di un polo pubblico che unifichi l’ospedale Sacco con l’Istituto dei Tumori e il Besta. Anche in questo caso andrebbe prima programmato un potenziamento dell’accessibilità dell’area prevedendo l’arrivo di una linea metropolitana.

In ogni caso il piano di fattibilità sembra ancora di là da venire e soprattutto sembrano sfumati i fondi INAIL con i quali avrebbe dovuto essere finanziata l’opera. In ogni caso trattandosi di una scelta strategica di questa rilevanza, la Regione dovrebbe farsi carico con maggiore determinazione di questo importante progetto che potrebbe essere finanziato alienando le attuali strutture di Tumori e Besta da cedere al sistema universitario come era previsto nel progetto che trasferiva il Besta alla Bicocca e trovando almeno le stesse risorse economiche che si sono trovate per ospedali assai meno strategici nella programmazione regionale.

Una decisione è urgente almeno per il Besta che a fronte di una rete di specialisti di livello mondiale nel campo delle neuroscienze è condannato ad avere una rete di degenza ancora degli anni 30.

Di queste questioni non si discute più quasi in nessuna sede, mentre è importante approfondirle per fare della città di Milano un centro di innovazione che il coordinamento adeguato della sua struttura ospedaliera pubblica e una corretta collaborazione tra pubblico e privato può garantire.

E non serve l’obiezione che il comune non avrebbe competenze in materia sanitaria: quando ha voluto Milano ha conquistato un ruolo anche in questo campo aderendo al circuito “Città Sane” dell’organizzazione mondiale della sanità o avviando un progetto di Centro Unico di prenotazione sperimentato con successo dalla città di Bologna.

Parlando seriamente di federalismo va detto che in tutte le grandi città europee il sistema sanitario è governato dalle municipalità: l’indifferenza del Comune di Milano rispetto a questi temi è disarmante e non può essere accettata o passata sotto silenzio, anche perché non è accompagnata da un’ attenzione adeguata ai servizi socio-sanitari territoriali che sono ancora più carenti della rete ospedaliera e meritano un approfondimento a parte.

 

Giovanni Mele

 

 



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