2 novembre 2009

AMBROSOLI, MILANO E LA BELLEZZA DELLA LEGALITA’


Tra le molte figure che hanno dato lustro alla storia della nostra città, indubbiamente spicca quella di Giorgio Ambrosoli, avvocato milanese e liquidatore della Banca Privata di Michele Sindona.

La sua storia è nota. Per aver compiuto sino all’ultimo il suo dovere restando fedele alla legge e alla propria coscienza fu assassinato dalla mafia politica, a Milano, di fronte a casa, la sera dell’11 luglio del 1979.

Quest’anno ricorrono trent’anni da quella triste data e Ambrosoli, da avvocato né oscuro né famoso, è divenuto l'”eroe borghese” di cui scrisse Stajano nel libro del 1991, un esempio di cittadinanza attiva capace di subordinare il proprio quieto vivere ai valori di libertà e legalità.

Come scrisse in una lettera alla moglie, scelse “di far politica in nome dello stato, per il paese e non per i partiti”, sapendo che la sua intransigenza sul rispetto delle regole non lo avrebbe circondato di amici o alleati.

Troppo spesso forse non è stato reso il giusto omaggio a questo eroe borghese ma Il trentesimo anniversario del suo assassinio e l’uscita di “Qualunque cosa succeda”, libro di Umberto, terzogenito di Giorgio e Annalori Ambrosoli,hanno finalmente fatto riscoprire ai giovani milanesi la bellezza della legalità e la storia di un uomo che non voleva certo essere un eroe, ma solo adempiere seriamente e moralmente l’incarico pubblico di commissario liquidatore che aveva ricevuto dalla Banca d’Italia.

La scorsa settimana Milano ha voluto idealmente abbracciare tutta la famiglia Ambrosoli (presente al Teatro Dal Verme) in occasione di un concerto dedicato all’avvocato. Nell’introdurre la serata, il direttore del Corriere Ferruccio De Bortoli ha ricordato come la nostra città abbia “il dovere civile di fare memoria di questo cittadino esemplare”. In questi casi, infatti, la memoria diviene strumento essenziale per tramandare alle giovani generazioni delle storie di valore. In particolare, quella di Ambrosoli, è un patrimonio da conservare nel tentativo di poterla imitare.

La sua vicenda ci ricorda che qualsiasi serio cittadino e professionista può ergersi come baluardo contro il degrado sociale, e che ciascuno di noi, partendo dai piccoli gesti può riscoprire l’importanza delle regole.

Seguire Ambrosoli significa anche, banalmente, non parcheggiare in seconda fila, farsi dare uno scontrino, emettere una fattura o pagare il biglietto del tram.

A pensarci bene, i valori che ispiravano l’azione di Ambrosoli (onestà, senso di responsabilità, rispetto delle regole) dovrebbero essere la base comune su cui si costruisce uno stato di diritto, sostrato della collettività ed è scioccante apprendere che l’aver seguito e difeso quei valori sia stato considerato un atto rivoluzionario, sovversivo, degno di un truce assassinio.

In un paese così insofferente alle regole la figura di Ambrosoli e la sua testimonianza sono ancora fortemente attuali. Nel suo diario l’avvocato scriveva: “Sindona non lo ritengo un’eccezione. Di Sindona probabilmente ce ne è qualcuno ancora in giro: cambi il nome, cambi la faccia ma la sostanza rimane”. Quanti sono ancora oggi i Sindona in circolazione? Quanti sono ancora quelli che raggiunta una determinata posizione di potere si ritengono al di sopra della legge, della morale e dell’onestà?

Nel finale del libro di Umberto Ambrosoli c’è una frase affascinante: “Il mondo in una certa misura, va nella direzione in cui noi vogliamo che vada. Ciascuno di noi è responsabile per qualche grado di questa direzione”. Suo padre scelse trent’anni di spendersi in prima persona e senza titubanze verso una via ben precisa. Oggi è bene ripartire anche dai sui gesti per ritrovare quella direzione.

Milano, la città dove Ambrosoli nacque, studiò, lavorò e venne ucciso è per prima chiamata a promuovere il suo messaggio e a testimoniare la bellezza della legalità.

Sarebbe un modo per iniziare a essere “capitale morale” nei fatti e non solo in qualche discorso.

Martino Liva

 

 

 




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