29 luglio 2015

LE OPPORTUNITÀ DI UNA CITTÀ CHE DEVE FARE SISTEMA


Mi030: varietà, pluralità, diversità; Mi030 é una melodia di contrasti, differenze; é il riflesso, di fatto, di quella che dovrebbe essere – così come ce la siamo immaginata – la Milano del 2030: una città policentrica e internazionale. “Non abbiamo il coraggio di pensare a un futuro ovattato nella quiete del nostro cantuccio padano, obbiettivo ineludibile dei prossimi 15 anni é una maggiore integrazione europea” così apriva la sezione ‘Paura‘ del piano ‘Città‘ al 26esimo piano. Sì, perché secondo i ragazzi l’inibizione sul piano internazionale sarebbe un vero e proprio sentore di Paura.

03chencene29FBL’idea é nata chiara e dirompente: gemellare in maniera più intensiva Milano con le altre più importanti capitali economiche europee. Sarebbe un primo passo, ma per agevolare lo scambio – anche oggi – si potrebbe cominciare semplicemente permettendo di fare domanda d’appalto anche in lingua straniera, per legge. Ma provate a immaginare una Milano che nel rispetto della sua identità, dei suoi valori, della sua storia sia in grado di dettare ritmi e dinamiche di capitali come Francoforte, Londra, Berlino, Lione, una città che segua, per fare un altro esempio, un piano di sviluppo comune che offra tra l’altro anche progetti di continuità per eventi e manifestazioni di tutti i generi nella manciata di capitali designate, agevolandone in termini di tempi e costi -cosa ancora più importante- anche le comunicazioni, sarebbe meraviglioso.

Ma tornando nel piccolo dei nostri 1575 km quadri di Città Metropolitana, é possibile riflettere il piano pensato precedentemente per creare una struttura solida e armoniosa di dialogo locale su cui poi costruire quelli che saranno i principali poli attrattivi della città del 2030? Anche qui la risposta é affermativa, anche qui la risposta é rivoluzionaria. “Perché pensare di dover risolvere il problema dell’integrazione centro-periferie quando le periferie stesse diventeranno dei veri e propri centri?” questo il limpido intervento di un ragazzo del mio tavolo, di una portata decisamente notevole. La dicotomia centro-periferia non trova più ragion d’essere nella contemporaneità e nel futuro delle aree urbane, si tratta soltanto di un residuo ideologico di un’urbanistica oramai superata.

Adottare il modello policentrico a Milano comporta naturalmente degli ostacoli non trascurabili, poiché il tessuto urbano sin dalla tarda età romana si é stratificato attorno al centro spirituale cittadino secondo anelli successivi, tuttavia é ormai necessario. La foga forse sorprendente con cui la cittadinanza ha preso possesso della Darsena rinnovata e di Piazza Gae Aulenti é un segnale lampante della necessità di nuove centralità che siano in grado di assecondare le esigenze della grande Milano.

Il modello policentrico non comporterebbe soltanto un vero e proprio piano di intervento mirato su tutto il territorio periferico in quanto tale (e non in relazione al centro), ma metterebbe anche sul tavolo un vero piano di integrazione in termini di trasporti – in primis per quanto riguarda la tariffazione -forse una semplicissima circle line non basterebbe -, ma ci sarebbero anche notevoli risvolti in termini di Sicurezza: così come si diceva nel mio gruppo, il crimine nasce dall’inadeguatezza sociale, che nasce a sua volta dallo straniamento, dalla marginalità, ma laddove non dovessero esistere più ‘margini’ in quanto tali non troverebbe più spazio nemmeno il crimine.

Certamente Fondazione Prada e Hangar Bicocca costituiscono un eccellente punto di partenza a questo proposito creando nuovi poli attrattivi di grande qualità in aree decisamente al di fuori della cerchia dei bastioni caratterizzate da un importante passato industriale e da un presente di vuoto e insicurezza. Questa è la direzione corretta, intrapresa dal privato, laddove il pubblico ancora rimane ancorato a una visione antiquata della città. Occorre comprendere che il centro storico non é più sufficiente, occorre comprendere che la visione radiale e duomocentrica che caratterizza tutti gli ambiti dell’amministrazione pubblica meneghina, dalle zone di circoscrizione agli stessi trasporti non solo è tremendamente anacronistica ma soprattutto stritola lo sviluppo della città, relegandola nel più becero provincialismo italico.

Enis Chenchene e Kevin Zandermann



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