29 luglio 2015

IMPARARE A RISCHIARE PER RICOMINCIARE A COMPETERE


La Milano del 2015 è una creatura un po’ indolente che coccola e protegge i suoi piccoli. Preferisce per loro la sterile sicurezza del centro alle più fertili e abbandonate periferie; li illude di un intrinseco potere della cultura senza fornire strumenti per sfruttarne il potenziale; li tiene lontani dal mostro del denaro, lasciando che diventi un incubo al momento del bisogno invece di un mezzo per raggiungere degli obiettivi. Milano 2015 incuba e non investe, chiude e non dà spazi, protegge e non rischia.

07minicucci29FBLa Milano del 2030 è una città diversa. È una città in cui fin dal liceo gli studenti possono avvicinarsi a una cultura del rischio già all’interno di un percorso scolastico che lasci gradualmente la scelta in mano agli studenti anche nella definizione dei percorsi di studio. È una scuola in cui vengono fatte le prime esperienze di lavoro, non per essere sfruttati prima ma per non essere sfruttati poi. Gli studenti sono educati maieuticamente alla capacità decisionale e di soluzione di problemi. L’università smette di creare incubatori inefficienti ma investe capitale nelle migliori idee dei propri studenti per crescere con loro.

In effetti, Milano nel 2030 è un luogo favoloso, in cui il denaro ha un costo accessibile e un prestito non lo si ottiene solo con un’ipoteca. Le infrastrutture di comunicazione e trasporto la rendono un luogo in cui investire dall’estero e non una piattaforma da cui fuggire. La cultura non è più solo un alibi per coprire altre mancanze, ma una risorsa chiave sulla quale la città investe per distinguere nel mondo le sue esportazioni tanto da diventare essa stessa esportazione.

Il fatto che la cultura sia un bene pubblico non significa che debba essere amministrato da una burocrazia intasante che al lodevole scopo della tutela affianca una totale incapacità di valorizzare, senza mai lasciare agli istituti competenti l’autonomia economica e organizzativa necessaria a operare. La cultura sarà un asset fondamentale di Milano ma il rischio è che questa diventi un’operazione di hard-branding, un’immagine più che un prodotto, un mezzo solo per attrarre investimenti esteri o per alzare il valore immobiliare in opere di gentrificazione, per citare Lewis Mumford: “La città promuove l’arte ed è arte; la città crea il teatro ed è teatro”.

Nel 2030 Milano sarà nel pieno di una strategia di lungo periodo basata su un migliore utilizzo delle proprie risorse. A partire dall’istituzione di una “Borsa degli spazi vuoti” grazie alla quale il Comune può offrire opportunità ai giovani per avviare la propria attività imprenditoriale o spazi di co-working, tornando ad avere anche un controllo dei prezzi di mercato degli immobili commerciali, cosciente che esso è stato in tutte le capitali culturali mondiali una risorsa chiave allo sviluppo.

Una rete di mezzi pubblici, capace di competere con quelle delle maggiori città del mondo, riunisce il centro alle periferie, “Città Metropolitana” non è l’ennesima istituzione vuota ma è una realtà. La piccola imprenditoria della Brianza deve essere riavvicinata e aiutata a formarsi in una rete forte e capace di competere a livello mondiale. La città è organica e vissuta in ogni suo punto, cancellando la paura dei suoi cittadini di viverla e lasciando ai turisti la possibilità di scoprirla da ogni angolazione.

La Milano del 2030 non è un’utopia, è un obiettivo per la Milano di oggi. Molte di queste proposte non competono in primis all’autorità politica di questa città ma competono ai cittadini di Milano che devono prendersi la responsabilità e il rischio di cambiare anche il paese. Milano deve imparare a rischiare.

Marco Minicucci



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