22 luglio 2015

IL TEATRO CONTINUO DI BURRI: COM’ERA E DOV’ERA


Il Teatro continuo di Burri è tornato nel Parco Sempione com’era e dov’era, e giovedì scorso alla Triennale è stato presentato il libro di Gabi Scardi che ne racconta la storia e documenta la ricostruzione. Realizzato nel 1973 in occasione della XV Triennale, che esponeva le installazioni e gli interventi di altri dieci artisti, nell’ambito del progetto Contatto Arte/Città concepito e organizzato da Giulio Macchi, era stato demolito nel 1989 prendendo a pretesto il degrado in cui si trovava.

E ciò è avvenuto mentre era sindaco Paolo Pillitteri, che da Assessore alla Cultura del Comune di Milano nel 1973 lo aveva ricevuto in dono da Burri con i Bagni misteriosi di De Chirico, ancora in situ e appena ridipinti per la terza volta, e l’Accumulazione musicale e seduta di Arman. Francamente sorprende che invece di essere restaurato come sarebbe stato facile e forse anche economico, considerata la semplicità della sua struttura, nell’89 si sia deciso di demolirlo.

La semplice piattaforma di calcestruzzo di metri 17×10,5, leggermente staccata dal suolo, con sei quinte rotanti (tre per lato) di 6 metri di altezza e 2,50 di larghezza, si inserisce sull’asse prospettico che orienta il parco da sudest a nordovest, inquadrando la Torre del Filarete del Castello Sforzesco verso il centro e l’Arco della Pace dal lato opposto, in direzione di Corso Sempione.

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È impostato anche sull’allineamento perpendicolare che collega il Palazzo della Triennale con l’Arena conferendo, con la sua forma essenziale, evidenza al centro geometrico del Parco. Al di là del significato che esprime come macchina scenica, vi si inserisce in modo non casuale: non è un allestimento, un’installazione o una scultura ma è una vera architettura che diventa elemento strutturale dell’impianto morfologico insediativo della città di cui il Parco è componente essenziale.

07_2_battisti28Infatti se si confronta il Teatro continuo con le sculture monumentali di Burri sorge qualche perplessità interpretativa, perché questo si pone con una originalità strutturale e formale che lo distingue nettamente. E ciò sembra proprio derivare dal rapporto e dall’integrazione che intrattiene con il sito per il quale è stato progettato: non potrebbe stare che in quel preciso punto del Parco.

Dichiaro di essere favorevole alla ricostruzione del Teatro continuo di Burri dov’era e com’era perché non solo riconosco all’opera un grande valore in sé, ma proprio per il ruolo particolarmente significativo che svolge nei confronti del Parco e del contesto urbano nel suo insieme.

È vero che impegna circa 1700 mq di prato ma, a differenza di altre presenze che a parer mio si limitano a occupare lo spazio per esprimere una semplice funzione, il Teatro enfatizza il dispositivo prospettico sul quale è collocato con l’effetto del mirino di un fucile di precisione, che rende riconoscibile anche a un occhio inesperto l’allineamento tra la Torre del Filarete e l’Arco della Pace. In questa direzione l’assialità non è del tutto riconoscibile in estate per l’interferenza con le fronde degli alberi ma il riflesso delle sue precise geometrie nello specchio d’acqua limitrofo restituisce allo scenario un’inedita complessità.

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La sua ricostruzione è stata causa di polemiche e denunce nei confronti del Comune di Milano, della Triennale, della Fondazione Burri e dello Studio legale associato NCTM che ha proposto e finanziato la ricostruzione. Vi si sono opposti il Comitato Parco Sempione, il Comitato Parco Libero, l’Associazione Proarco, la Fondazione Perilparco, AzioniAmo e Italia Nostra, che in nome del rispetto dei vincoli ambientale del 1963 e monumentale del 1986 hanno anche presentato un esposto in Procura.

L’editoriale di Luca Beltrami Gadola dell’11 febbraio ha messo bene in evidenza, rispetto a questo e altri conflitti tra Comune e comitati cittadini riguardanti interventi di pubblico interesse, quale sia la questione in gioco dal punto di vista della democrazia partecipativa che questa Amministrazione ha assunto quale impegno qualificante.

Ma c’è da aggiungere un aspetto che non mi sembra meno importante. Questa, come altre occasioni, dovrebbero essere assunte quali opportunità di promuovere – prima e non dopo aver deciso – una partecipazione dei cittadini che potrebbe avere uno straordinario effetto formativo per la costruzione di una cultura condivisa, di una maggiore consapevolezza e assunzione di responsabilità nei confronti degli interessi collettivi rispetto a quelli particolari e locali.

Me è una pratica sociale che richiede competenza e risorse e che si fa ancora più pressante proprio in questa fase di istituzione dell’Area metropolitana, per impegnarsi a definire lo scenario d’insieme di una nuova collettività che non rischi di frammentarsi in un campanilismo miope e distruttivo.

Ritornando al libro, l’unica critica che mi sento di fare riguarda il ruolo assegnato alle foto di Paola di Bello, poste in apertura, che per quanto interessanti, nella loro crudezza tecnico- realizzativa finiscono per sottrarre all’opera di Burri l’aura che le appartiene. Le avrei messe in appendice. Oltre ad alcuni interventi di circostanza il testo di Gabi Scardi colloca in modo molto esauriente il Teatro nell’excursus artistico di Burri, nella storia della Triennale e nel momento storico del Paese

Il 1973 è stato un anno di tragici eventi e di grandi speranze affidate al tentativo di dare corso a una democrazia allargata e partecipata nel nostro Paese e il Teatro continuo di Burri sembra sintetizzare nella sua essenza anche questa contraddizione attraverso l’offerta di una scena sulla quale esprimere i drammi del proprio tempo e la possibilità per tutti di esserne liberamente interpreti e protagonisti.

 

Emilio Battisti

 

 



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