22 luglio 2015

TUTTI SONO SCRITTORI, TUTTI SONO CRITICI, NESSUNO LEGGE PIÙ


Ventidue premi Pulitzer, tra i quali: John Berryman, Bernard Malamud, Michael Cunningham, John McPhee, Jeffrey Eugenides e Marilynne Robinson. Venticinque premi Nobel, tra i quali: Knut Hamsun, T.S. Elliot, Isaac Bashevis Singer e William Golding. Ventitré National Book Award, tra i quali: Jonathan Franzen, Tom Wolfe e Robert Lowell. Sono le placche e i diplomi inquadrati, retti a malapena dalla parete che fronteggia la porta d’ingresso alla sede di Farrar, Straus & Giroux, la casa editrice fondata da Roger W. Sraus Jr. e John Farrar nel 1945, oggi indubbiamente la più prestigiosa del panorama editoriale americano. Non è soltanto una questione di riconoscimenti pubblici, non solo una questione di numero di scrittori premiati, ma di sensibilità e dedizione alla causa editoriale, invariata in settant’anni di pubblicazioni.

09d'antona28FBOggi, alla scrivania che è stata di Robert Giroux siede Jonathan Galassi, uno degli ultimi editori romantici. Poeta, romanziere – la sua prima opera di narrativa è uscita da poco in Italia, per la traduzione di Silvia Pareschi e si intitola La musa (Guanda, 2015) -, traduttore – di Leopardi e Montale, tra gli altri – e detentore di uno degli sguardi più lucidi sul panorama letterario americano e internazionale. Pensare alla carriera di Galassi è come immaginare uno scoglio in mezzo ai marosi della crisi di settore, alle tempeste del dubbio e alle basse maree dei lettori in secca. Parlare con Galassi significa prendere atto della storia dell’editoria e considerarla tutta assieme: preda dei suoi alti vertiginosi e vittima dei suoi bassi abissali.

Cosa sta succedendo ai libri? Quello che sta succedendo ai libri lo vedi ogni giorno quando accendi il cellulare. La gente ha disposizione tanti modi di passare il tempo, che i libri sono diventati una pratica occasionale, anche per i lettori più forti, attenti e dedicati. Non è successo in una notte, c’è voluto parecchio tempo, è stato un processo graduale, ma è quello che ci troviamo di fronte oggi. I libri, che per secoli sono stati il punto focale della cultura, sono stati messi da parte. Hanno assunto una posizione defilata, secondaria. È un processo ancora in corso, ma oggi più che mai vive di un accelerazione drastica. Poi c’è il digitale, che intacca le vendite. I libri hanno cominciato a essere venduti online, in vari formati, per prezzi sempre minori e i librai hanno dovuto adattarsi, se volevano rimanere nella competizione. La mia paura è che succeda quello che è successo alla musica: che i libri perdano di valore.

Sta succedendo davvero? Sicuramente. Hanno cominciato perdendo l’importanza centrale che avevano e poi hanno perso valore economico. È un po’ come se stessero scomparendo dal panorama del reale.

E la letteratura? È destinata a scomparire coi libri? No, direi di no. Ci sono ancora un sacco di pazzi in giro che vogliono scrivere e abbastanza persone che vogliono leggere. Stanno cambiando le generazioni, stanno cambiando i mezzi, si stanno moltiplicando le possibilità. Le nuove generazioni vogliono essere al centro dell’azione: giocano, scrivono, hanno a disposizione un’infinità di media tra i quali possono spaziare. Non hanno bisogno di concentrarsi su un unico mezzo, ma questo non vuol dire che lo abbandoneranno definitivamente. La letteratura non scomparirà, ma dovrà adattarsi. Dovrà rassegnarsi a diventare parte di un continuum dell’intrattenimento, un tassello in un tutto talmente vario e talmente universalmente accessibile – pensa di nuovo al telefono: hai tutto lì, non hai bisogno di nient’altro – da risultare utile, ma non più necessario. Per continuare a leggere l’articolo su LINKIESTA clicca qui

 

Giulio D’Antona



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