22 luglio 2015

musica – DIE SCHÖNE MÜLLERIN


 

DIE SCHÖNE MÜLLERIN

Sono giorni di fuoco dalle temperature torride e, nonostante le sale da concerto abbiano l’aria condizionata, è molto difficile per i musicisti – le cui prestazioni necessitano di energie non solo intellettuali ma anche fisiche (e non poche) – affrontare programmi impegnativi e faticosi e dare sempre il meglio di sé; come ascoltatori abbiamo il dovere di capire la situazione e di essere indulgenti nei loro confronti.

musica28FBCon questo stato d’animo – e anche con la curiosità di ascoltare un noto tenore sudcoreano che si è formato in Germania ed è considerato uno specialista in materia – ci siamo recati alla Palazzina Liberty dove Sang Ho Choi si è cimentato nell’esecuzione delle venti liriche che costituiscono Die schöne Müllerin, il ciclo di Lieder che condivide con il più noto Die Winterreise la fama di essere il più affascinante fra quelli scritti da Franz Schubert.

Il concerto concludeva la “Settimana di cultura sudcoreana”, organizzata da Milano Classica con il Consolato della Corea a Milano in occasione di Expo, che prevedeva altre due serate con musiche e strumenti tradizionali di quel Paese. In questa occasione sedeva al pianoforte Maurizio Carnelli – un bravo accompagnatore, uscito dal nostro Conservatorio e docente alla Civica Scuola di Musica “Claudio Abbado”, che da anni coltiva rapporti con la Corea – e l’esecuzione era preceduta dalla lettura dei testi, nella traduzione italiana, da parte di un attore/lettore. Il nostro tenore, per parte sua, ha inanellato quei pezzi uno dopo l’altro, a memoria, nella loro lingua originale che dimostrava di ben possedere insieme a una tecnica vocale sciolta e sicura.

Aggiungiamo che Die schöne Müllerin è un capolavoro scritto nel 1823 su testi del poeta berlinese Wilhelm Müller, molto celebri nei paesi di lingua tedesca, di raro ascolto perché i Lieder devono essere cantati da un tenore completo ed espressivo che sappia “raccontare” con voce appositamente educata (la Liederistica è un’arte particolare nel panorama della lirica), e raccontando sappia catturare e trattenere l’attenzione di un pubblico normalmente colto, capace di apprezzare le astratte raffinatezze del dialogo fra voce e pianoforte.

La nostra buona disposizione d’animo si è infranta l’altra sera contro una realtà imprevista e una situazione imbarazzante: pubblico scarsissimo, composto per lo più da cittadini palesemente coreani, un pianoforte Kawai poco in sintonia con il suono schubertiano, un attore/lettore bravo ma afono, totalmente incompreso dai coreani per via della lingua ma incomprensibile anche ai pochi italiani sia perché deboli di udito a causa dell’età, sia perché la Palazzina è nata come caffè-ristorante del “Verziere”, il vecchio mercato della frutta e della verdura, e non ha l’acustica idonea per farvi musica da camera.

Insomma tutto remava contro, ma tutto sarebbe stato accettabile e fors’anche gradito se l’interpretazione musicale della Bella Mugnaia (o Molinara, come vuole qualche traduttore) fosse stata interessante, accattivante, anche solo dignitosa. Accade invece che il buon Sang Ho Choi, a dispetto della buona pronuncia – che lasciava intendere una ragionevole comprensione dei testi – abbia cantato tutti i Lieder nella stessa identica maniera, monotonamente, senza alcuno sforzo per costruire le diverse atmosfere e i diversi stati d’animo, per esprimere i profondi e variegati sentimenti di cui sono intrisi i testi di Müller. In questo modo la sequenza dei Lieder assomigliava più a una cantilena che a una vera storia, si è creata un’atmosfera soporifera e non si capiva più se il pubblico – coreano o italiano che fosse – tenesse gli occhi chiusi per concentrarsi sulla musica o per nascondere l’appisolamento.

Neanche la bellezza dei temi che Schubert generosamente profonde nel suo ciclo per descrivere la dolcezza dell’amore, l’insorgere della gelosia e dell’orgoglio, la meraviglia per la bellezza della natura il continuo rifluire del pensiero con il perpetuo scorrere dell’acqua, è riuscita a scuotere gli animi e a farli vibrare di piacere; è stata come la dimostrazione più evidente di quanto la musica abbia bisogno dell’interprete per esistere e per manifestare la sua grandezza.

È vero che chi sa leggerla può interpretarsela da solo, ricostruirla mentalmente secondo il proprio sentire e goderla … in diretta (d’altronde Beethoven in quelle condizioni l’ha addirittura scritta); ma fino a quando qualcuno non la fa vivere attraverso l’esecuzione, e dunque non ne propone una interpretazione, la musica per i più è muta e inconoscibile. La responsabilità dell’interprete è dunque somma, l’interpretazione è anch’essa un atto creativo, e non c’è di meglio di una modesta o inconsistente interpretazione per capire la grandezza dei veri grandi interpreti.

 

 

questa rubrica è di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org a cura

 

 

 



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