15 luglio 2015

LE AREE NEL DOPO EXPO: LA FARINA DEL DIAVOLO..


Il destino delle aree di Arexpo, ora in affitto a Expo 2015 Spa, quando scadrà il contratto di affitto, giugno 2016, sarà il nuovo episodio – temo non l’ultimo – di una vicenda che parte da lontano, almeno dalla data di insediamento a presidente della Fiera di Milano di Michele Guido Franci nel 1978. Vi rimase fino al 1984. La Fiera di Milano, fisicamente chiusa nel suo famoso “recinto” era una città nella città saldamente in mano alla Democrazia Cristiana milanese.

01editoriale27FBGuido Franci era un uomo dinamico, competente, arrivato alla Fiera dopo una lunga esperienza al Mifed (Mercato Internazionale del Cinema e del multimediale), da lui fondato nel 1960 e ne restò presidente fino al 1984 e Fiera Milano divenne Fiera Franci. Nel 1983, prima di lasciare la poltrona a Mario Boselli, quando per la prima volta si cominciò a parlare di Internet, a un intervistatore disse: “Non ci sarà più bisogno di grandi padiglioni, le cose le potremo vedere attraverso il video e computer, con collegamenti via satellite”. Era un messaggio di un uomo di 78 anni che guardava lontano. Messaggio non raccolto, anzi, chi gestisce Fiera Milano prima che nel 2000 si trasformi in Fondazione, dà l’avvio alla forsennata crescita dei padiglioni espositivi.

Tra il 1993 e il 1997 si realizzano i nuovi padiglioni su progetto di Mario Bellini, quelli che si chiamano ora Fiera Milano City e che oggi si pensa di demolire in parte, per far posto al nuovo stadio. La gestione di quegli anni non è trasparente tanto che nel 1997 l’allora ministro dell’industria Pier Luigi Bersani chiama Guido Artom alla presidenza per “far pulizia”. Vi resterà fino al luglio ’98 e non fu una presidenza facile, come scrisse su ArcipelagoMilano nel marzo del 2012.

Via lui ricominciò l’andazzo e soprattutto l’occupazione di Fiera Milano da parte di Comunione e Liberazione e Compagnia delle Opere. L’appetito crebbe e siccome giuridicamente Fiera Milano non dava spazi di manovra, nel 1999 si trasforma in Fondazione che rimane proprietaria degli immobili e partorisce Fiera Milano Spa alla quale demanda la gestione e lo sviluppo. Già nel 1999 si comincia a parlare del cosiddetto Polo esterno, quello di Rho-Pero. Si legge nelle carte di Fondazione Fiera: “L’intervento per decentrare il polo fieristico in un nuovo complesso esterno [è] necessario – date le problematiche legate al traffico e alla mancanza di funzionalità del quartiere storico nel centro ….”. Già allora il traffico in zona era critico, oggi ci vogliamo fare uno stadio.

A parte questo, da qui prende corpo l’idea di vendere le aree della vecchia Fiera per finanziare l’ultima follia, immemori di quello che aveva detto giustamente Michele Franci. Ed è qui che la farina buona diventa farina del diavolo: nel 1922 il Demanio Militare vendette le aree della Piazza d’armi all’Ente Autonomo Fiera di Milano a un prezzo quasi simbolico perché era una vendita con vincolo di scopo come previsto dall’articolo 1322 del Codice Civile, per la realizzazione di “interessi meritevoli di tutela”, tra questi ovviamente la realizzazione della Fiera di Milano. La vendita per edificazione di abitazioni o uffici non rientra negli interessi meritevoli di tutela. Non credo che si possa invocare una sorta di proprietà transitiva – il ricavato destinato a scopo analogo – perché erano nel frattempo troppo cambiati gli interlocutori, i soci odierni di Fondazione Fiera. Comunque da quel tesoretto di farina buona presero l’avvio gli investimenti sbagliati.

Non contenti di questi investimenti dissennati si ristrutturano i padiglioni 5 e 6 con la famosa copertura “La cometa”, sempre dell’architetto Bellini, un ardito progetto di copertura luminosa a Led, mai vista accesa, per coprire un grandioso centro congressi inaugurato nel maggio 2011, tra i meno utilizzati del mondo.

Da quel momento il loro peso, il polo esterno costato circa 900 milioni di euro e con gestioni passive, e i buchi di bilancio di Fondazione Fiera e società collegate, condizionano pesantemente il futuro delle aree di Arexpo, che comprò a un prezzo stravagante le sue aree da Fondazione Fiera per salvarne i bilanci. L’ultima beffa è l’operazione “advisor”. Come ho già scritto fino alla noia il destino di quelle aree è una scelta soltanto politica, un advisor servirebbe solo di fronte a opzioni politiche diverse (non ancora affacciate) per valutarne i costi e capire che investimenti sarebbero necessari e quanto valgano gli investimenti fatti. Se invece la scelta è totalmente demandata a un advisor vuol dire che abbiamo “subappaltato” la politica ad altri. La farina del diavolo va sempre in crusca.

 

Luca Beltrami Gadola



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