15 luglio 2015

musica – VIVE LA FRANCE!


VIVE LA FRANCE!

Figura assai singolare dell’ottocento francese, Berlioz è noto per poche opere benché ne abbia scritte molte; di lui non tanti conoscono la storia e ancor meno sono in grado di valutarne appieno qualità e limiti. Per fortuna nell’aprile dell’anno scorso alla Scala abbiamo ascoltato Les Troyens che ci hanno portato ad avere maggiore dimestichezza con questo autore la cui partitura più nota è quella Sinfonia Fantastica, opera 14, che laVerdi ci ha appena fatto riascoltare in una limpida esecuzione diretta da Oleg Caetani.

musica27FBPrima di tutto della Sinfonia Fantastica colpisce la data di nascita: siamo nel 1830, in piena restaurazione, erano appena morti Beethoven (tre anni prima) e Schubert (solo due anni addietro), mentre Mendelssohn, Schumann, Chopin, Liszt erano dei ventenni appena usciti dall’adolescenza, Wagner e Verdi non ancora (i due, coetanei, avevano 17 anni). Lui, Berlioz, ne aveva 27 e non sapeva suonare né il violino né il pianoforte, solo il flauto e la chitarra, e ciononostante ha scritto una monumentale opera per grande orchestra. Formidabile.

Si rimane basiti scoprendo che con quest’opera il ragazzo inventava di fatto la cosiddetta “musica a programma”, prototipo di tanta musica successiva e madre dei fortunati “poemi sinfonici” che caratterizzeranno tutto il XIX secolo e non solo. Basti dire che il sottotitolo della Sinfonia Fantastica recita Episodi della vita di un artista e che questi episodi sono assai ben narrati dallo stesso autore nei testi introduttivi alle singole parti dell’opera. Oggi possiamo dire che per godere appieno di quella musica bisognerebbe ignorarne il “programma” e lasciarsi andare a un ascolto spontaneo, privo delle suggestioni indotte dal significato letterario. Ma non si può disconoscere la portata rivoluzionaria di quell’approccio, anche perché Berlioz era un fanatico cultore della sinfonia beethoveniana, se ne sentiva figlio e debitore, e dunque l’avere introdotto nella propria opera una componente letteraria così invasiva non può certo esser considerato un fatto marginale.

Oltretutto quegli “episodi” appartengono a una storia complessa (amore e morte, sogni e incubi, scene campestri, scene infernali, ecc.) e la corrispondenza fra il racconto e la musica è particolarmente esplicita; vi era stato il precedente di Beethoven, che aveva chiamato “Pastorale” la sua sesta sinfonia indicando alcune scene di riferimento per i singoli tempi; ma Berlioz va ben oltre, si spinge a “raccontare in musica” una vicenda, quasi come se scrivesse le musiche di scena per un balletto, senza tuttavia abbandonare la struttura formale della sinfonia classica beethoveniana e schubertiana, anzi ponendosi deliberatamente su una linea di continuità con esse.

Ne deriva un’opera giustamente chiamata “sinfonia fantastica” in quanto strutturalmente è una sinfonia ma è anche opera fantastica per quell’aggiunta letteraria che condiziona la fantasia dell’ascoltatore obbligandolo a immaginare le scene che hanno ispirato l’autore.

Oleg Caetani, come si sa, è un gran signore della musica, figlio del direttore d’orchestra russo Igor Markevitch e di una nobildonna romana – da cui ha scelto di prendere il nome perché non voleva “vivere di luce riflessa” – con una formazione internazionale e interessi che spaziano dalla musica sinfonica alla musica lirica. Nonostante le temperature torride dell’estate milanese si è presentato sul podio con un impeccabile frac per rispetto dei professori d’orchestra che, per contratto, sono obbligati a portarlo. È un abbigliamento sicuramente superato che potrebbe ormai essere abolito, ma fintantoché lo indossa tutta l’orchestra (i poveri maschi, ovviamente, signore e signorine possono sbizzarrirsi con mises di ogni genere purché nere) non si capisce proprio perché direttori e solisti debbano sentirsene esonerati.

A parte l’eleganza dell’abito fa piacere dire che anche la direzione di Caetani è sempre molto elegante: nel gesto, nelle intenzioni, nei risultati. La Sinfonia Fantastica dell’altra sera era asciutta ed essenziale, priva della magniloquenza e dell’enfasi da cui spesso è afflitta, se ne poteva cogliere sia lo spirito innovativo post-napoleonico che i germi della nuova musica post-viennese, figlia della Rivoluzione e dei Lumi.

Essendo la serata dedicata alla Francia – all’interno di una serie di concerti, uno per ogni nazione presente all’Expo – Caetani ha accostato alla sinfonia di Berlioz due brevi pezzi non meno francesi: una ouverture del 1800 di Luigi Cherubini (nato a Firenze ma diventato parigino a soli ventotto anni – poco prima dello scoppio della rivoluzione – e rimasto praticamente tale fino alla fine della sua lunga vita) e il Bacchanale di Jacques Ibert, un divertissement scritto nel 1956 per la BBC inglese; partiture entrambe molto raffinate, forse troppo, quasi patinate, direi però a discapito di contenuti musicali più profondi. Difficile capire la presenza nel programma del celebre valzer di Johann Strauss junior Vino, donna e canto opera 333 – irrimediabilmente associato al capodanno viennese dei Wienerphilharmoniker – mentre si poteva dare per scontata l’entrée di Nicola Campogrande – compositore torinese cui laVerdi ha commissionato The Expo variations – che per questa “musica d’occasione” ha intrattenuto il pubblico per cinque divertenti minuti giocando abilmente con il tema de La Marseillaise. Viva la Francia!

questa rubrica è di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org a cura



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