15 luglio 2015

la posta dei lettori_15.07.2015


Scrive Fabrizio Bottini a proposito della riapertura dei Navigli – Quanto mai opportuna, l’obiezione puntuale di Giuseppe Bonomi, al modo in cui è stato affrontato il tema della cosiddetta «Isola» al centro della Città Metropolitana milanese, senza inquadrarla alla scala adeguata, ma appunto come se si potesse trattare di un’isola a sé. Le argomentazioni abbastanza semplicemente favorevoli alla riapertura dei Navigli per via dei quadretti pittoreschi e del rilancio turistico, forse non tengono presente l’esempio della media delle città storiche italiane, prima fra tutte Venezia che sta a un paio di ore di treno da Milano, e che tutti conosciamo benissimo: grande più o meno quanto la nostra Cerchia dei Bastioni, l’isola in mezzo alla Laguna ha dinamiche urbane e immobiliari del tutto distorte e uniche, crollo di residenti, monocoltura turistica, in generale enorme debolezza rispetto a lobbies settoriali, e funziona come una enclave del tutto autonoma rispetto alla regione urbana della terraferma.

Possibile che, di fronte agli scorci pittoreschi di qualche conca recuperata o monumento storico valorizzato, crolli qualunque altra considerazione? Il problema non è il recupero e valorizzazione di alcuni spazi pubblici, di cui la città ha certamente bisogno, ma la prospettiva e la cornice dentro cui lo si affronta il problema, come avevo provato a spiegare con alcuni riferimenti storici nel mio intervento. Grazie a Giuseppe Bonomi per avercelo ricordato ancora una volta.

Scrive Nicola Volpi a proposito della riapertura dei Navigli – Riaprire i Navigli? Sarebbe bello se potessimo far fare alla città un salto indietro nel tempo … ma non si può! Allora, perché svegliare un dinosauro e pretendere che viva bene, oggi? Ma sarebbe proprio vero che la città, oggi, ne uscirebbe migliorata? No, assolutamente no, non illudiamoci! A parte il costo pazzesco, per cosa poi? La città buttata all’aria, per che cosa poi? Le acque andrebbero poi regolate, come pulizia e quantità: immaginate cosa diventerebbero questi poveri Navigli, fuori luogo e fuori tempo. Ma vi immaginate il traffico, già oggi caotico, domani con le vie bloccate o piene di ponticelli? I Navigli a Milano… teniamoli come un bellissimo sogno ma non trasformiamolo in una pessima realtà! Tutto perduto, dunque? Lasciatemi lanciare il mio piccolo sogno: una riapertura di qualche pezzo di Naviglio in Milano, ove lambisca luoghi significativi – vecchi Palazzi, giardini, piccole piazze, Ospedali – ma è pur sempre il sogno di un incallito sognatore che riesce, ancora, a vedere, e ammirare, qualche pizzico di bella Milano.

Scrive VitoAntonio Ayroldi a proposito del brand Milano – Gentile direttore, da “romano” e per lavoro, continuo a incontrare molti milanesi in trasferta. Quando gli parlo di Roma, della città e di cosa è diventata, cercando di immunizzarli da quella che Giovanni Papini definiva la sifilide dell’archeologia cronica io non gli offro una narrazione, gli offro un’analisi. Bene, al loro ritorno molti mi hanno scritto, cose del tipo: “sai Vito? avevi ragione tu, tornare a Milano ai suoi metrò che non chiudono alle 21,30 come a Roma, persino decentemente pulita mi ha fatto ricredere sulla grande bellezza di Roma”. Vede cosa succede? Nella mente di alcuni milanesi andati via da Roma è rimasta indelebile non l’immagine delle vestigia ubique della Grande Roma Imperiale ma l’immagine di gabbiani, a sciami, in città e grossi come tacchini perché si nutrono di monnezza dalla mattina alla sera. E sia detto con tutto il rispetto se non influenza Sorrentino figuriamoci se può servire a qualcosa il primo Rolando che passa.

Mettetevelo nella capoccia, le città nascono, crescono e si sviluppano perché funzionano. O non funzionano. Ed è il modo in cui funzionano, il racconto, non c’è altro. Per dirla con McLuhan la città è il messaggio. E la gente lo percepisce vivendola, usandola. Le narrazioni non servono. Il brand “qualcosa” non esiste. Se va bene è camouflage. I turisti d’affari, per lavoro o viaggiatori non hanno bisogno del predicozzo di nessuno per percepire se c’è valore in quello che una città gli sta offrendo. I tedeschi amano dire per indicare che la qualità dei loro prodotti – come delle loro città – è eccellente che i loro prodotti non si vendono si comprano. Bene. Le città non si narrano le città funzionano. E se non funzionano non c’è narrazione che possa camuffare. L’Expo è una megafuffa costata agli altri cittadini italiani che l’hanno finanziata con le loro tasse 1,4 mld di euro. Posso capire che con le briciole cascate dal tavolo, ora i milanesi si godano la Darsena resa vivibile e son contenti. Del resto Milano è sempre pronta al natale e quando passa piange e ci rimane male cantava Lucio Dalla. Tutto il resto come diceva Califano è fuffa.

Scrive Laura Gusmeroli a proposito del Giardino dei Giusti – Gentile Signora Cini, purtroppo non sempre è possibile edificare ciò che si vuole. Le consiglierei di informarsi sulle caratteristiche del Monte Stella, ben diverse da quelle delle colline naturali che hanno un’anima rocciosa. Le vostre opere edilizie comporterebbero circa 1,5 m di fondamenta di cemento armato che romperanno le radici degli alberi, inserendosi in un terreno franoso, con conseguenti smottamenti e instabilità del suolo. Di conseguenza sarà la fine per il Giardino dei Giusti e per tutto il parco. È un’opera che non fa i conti con la realtà.

Scrivono Giancarlo Consonni e Graziella Tonon a proposito del Giardino dei Giusti –

Dal Giardino dei Giusti allo Scempio degli Ingiusti? Lettera aperta alla professoressa Anna Cini a seguito del suo intervento su ArcipelagoMilano, a. VIII, n. 26, 8 luglio 2015

Gentile Professoressa Cini, intanto ci complimentiamo con lei per l’impegno profuso per una causa nobile come quella del Giardino dei Giusti. Conoscendo gli obiettivi e quanto fin qui fatto da Gariwo, ci dispiace dover dissentire sul progetto che questa associazione sta per realizzare sul Monte Stella; ma, a quel che vediamo, le posizioni restano inconciliabili.

1. Avremmo voluto limitare la nostra risposta all’invio di immagini e lasciare a lei le conclusioni. Non occorre essere degli addetti ai lavori per comprendere che cosa si stia per mettere in opera e quali luoghi mirabili (figg. 1 e 2) ci si appresti a sconvolgere con il sostegno e la benedizione del Comune di Milano.

1. Monte Stella. Seconda balza di sud-est. Stato attuale

 

2. Monte Stella. Seconda balza di sud-est. Stato attuale

I muri alti 240 cm e larghi 64 cm – che si intende erigere per uno sviluppo complessivo di circa 50 metri – richiedono fondazioni profonde (almeno un metro), in parte evidenziate nella sezione di cui alla figura 3: una colata di cemento inaudita.

4. Muro. Sezione verticale, particolare

3. Muro. Sezione verticale

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La fig. 3 però non dice tutto. Le fondazioni non possono essere in semplice calcestruzzo: per tutta la lunghezza del muro, nel cemento andrà annegata una “gabbia” (adeguata) in tondini di ferro. Questo vale non meno per l’anima verticale alta 240 cm, destinata a reggere pesanti blocchi di pietra: anche qui non di semplice calcestruzzo si tratta, ma di cemento armato che va legato a quello delle fondamenta. I disegni dunque o sono inadeguati o mentono; scelga lei.

Quanto al dettaglio di cui alla fig. 4, facciamo osservare che è impensabile che si adotti un semplice appoggio con incastro: così com’è disegnato, quel muro non si reggerà mai in piedi.

A questo punto non si può non porre la seguente domanda: opere di questa portata non sono costruzioni a tutti gli effetti? Lei dirà: «Ma perché lo chiedete proprio a me?». Quando si sposa una causa – questa la nostra risposta – non si possono trascurare dettagli come questo, che hanno insieme implicazioni tecniche, culturali e politiche (oltre che legali). Certo: il vero destinatario della domanda, oltre che il progettista e il committente, è il sindaco Giuliano Pisapia; e, a seguire: a) la Giunta; b) il responsabile del procedimento; c) i tecnici comunali degli assessorati coinvolti.

Per limitarci al sindaco, verrebbe da chiedergli per quale ragione si è adottata una procedura sui generis per l’approvazione del progetto.

Quanto al responsabile del procedimento verrebbe da chiedergli se, per esempio, prima dell’inizio dei lavori è previsto il deposito della relazione sui cementi armati o comunque di una dichiarazione del progettista al riguardo. O, ancora, se sono stati fatti o sono in programma dei carotaggi nel terreno, anche tenuto conto del fatto che il Monte Stella è fatto di materiale di riporto. Ma anche qui viene da chiedersi: è possibile che tecnici comunali tanto preparati e il responsabile del procedimento non si siano accorti delle stravaganze presenti nel disegno di cui alle figg. 3 e 4?

5. Alcuni dei muri previsti nel progetto. Rendering

2. Negli Stati Uniti e nel Regno Unito un tecnico comunale incaricato di esaminare il progetto di cui stiamo discutendo, tra i criteri di verifica – e non certo l’ultimo – avrebbe quello della sicurezza delle persone; questione su cui in quei paesi è fiorita una vasta letteratura e un sapere tecnico condiviso basato sull’esperienza. Non stiamo parlando della sicurezza statica, ma del fatto se la nuova configurazione prevista dal progetto possa o meno creare condizioni di pericolo per i frequentatori del parco.

Si confronti la fig. 5 e le figg. 1 e 2: anche il solo buon senso dice incontestabilmente che oggi il parco è molto più sicuro di quanto non lo sarà dopo l’intervento.

3. Il progetto Gariwo prevede la realizzazione di un anfiteatro per 340 posti in pietra massiccia con tanto di palco (fig. 6).

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6. Il teatro all’aperto per 340 posti. Rendering

Seppure si tratti di una struttura in piano, si renderà comunque necessaria la creazione di pendenze, sia pur minime, per il deflusso delle acque. Non solo: per evitare dilavamenti e smottamenti, le scarpate necessiteranno di canaline e rinforzi murari, con ulteriori devastazioni.

La presenza prevista di 340 persone rende, allo stesso tempo, necessaria l’installazione di un congruo numero di WC mobili, che costituiranno un ulteriore fattore di deturpamento permanente.

Inoltre poiché per i muri, i totem e il teatro è prevista un’illuminazione a giorno nelle ore notturne – con elevatissimo inquinamento luminoso a danno delle abitazioni prospicienti -, si dovrà provvedere all’installazione di una cabina elettrica a cui faranno capo un’infinità di tubazioni e di pozzetti per l’interramento di condutture elettriche. Insomma l’intera seconda balza di sud-est verrà sfigurata.

4. Ma quello che Gariwo e la Giunta Comunale proprio non vedono è che questo sforzo titanico, invece di servire una causa giusta, avrà come effetto la predisposizione di un luogo ideale per bivacchi e rave parties. Risultato più che prevedibile: l’intera balza a breve dovrà essere recintata, suggellando la completa sottrazione di uno spazio pubblico al legittimo proprietario: i cittadini di Milano.

5. Il progetto registra un cambio di simbologia e un cambio di strategia rispetto a quella messa in atto fin qui col Giardino dei Giusti esistente. Su questo abbiamo già ampiamente argomentato nello scambio con Stefano Levi Della Torre

7. I totem. Rendering

Mentre il Giardino ha un forte potenziale simbolico coerente con la causa su cui si intende sensibilizzare i cittadini (a cominciare dai più giovani), del Giardino il nuovo progetto conserva solo il nome. Sceglie simbologie e modalità comunicative prossime a quella del mondo della pubblicità o comunque proprie di stand fieristici. Totem: già l’uso del termine parla da sé. Il progetto prevede l’installazione fissa di almeno dieci totem in corten, con funzione espositiva/narrativa (fig. 7). Il messaggio che fin qui è arrivato alle coscienze con la simbologia delicata dell’albero, arriverà svilito in nome dell’intento comunicativo/didascalico. Le cose, non solo le parole, hanno un portato educativo o diseducativo. Chi fa didattica dovrebbe saperlo.

E poi per la didattica specifica che Gariwo coltiva non sono più confacenti i teatri, a cominciare dal Piccolo Teatro, luogo di alto e drammatico valore simbolico per essere stato sede dal 1943 al 1945 della famigerata Squadra d’Azione Ettore Muti?

6. Con questo progetto Gariwo distrugge quanto ha fin qui costruito a Milano, compreso il credito conquistato tra gli abitanti del QT8 e della città.

Non dicono nulla i 260 nomi autorevoli di intellettuali e architetti che si sono schierati contro questo intervento? E le 2.500 firme raccolte tra i cittadini? È tutta “gente” manipolata da una propaganda che nasconde secondi fini? Fa comodo pensarlo, pur di non meditare sulla portata di certe scelte. Gariwo pensa di dialogare con questi e gli altri concittadini con ruspe e iniezione di tonnellate di cemento in un parco che è tra i più belli della città?

7. Solo in chiusura, come ha visto, chiamiamo in causa la bellezza. Il Monte Stella di Bottoni non è paragonabile con il Giardino di Boboli? Se è per questo, neanche Ronchamp è paragonabile alla Cattedrale di Chartes. Eppure molti non esitano a qualificare come capolavori anche queste opere moderne.

Comunque la si pensi, se si confrontano i disegni di progetto con lo stato attuale ci si rende conto che il Monte Stella è stato pensato e realizzato per dialogare non solo con l’intorno ma con l’intera città. Non a caso le balze più estese guardano verso il centro urbano in una continuità di percorsi orizzontali e verticali che mettono a frutto una sapienza antica. Nel manomettere estesamente la seconda balza, il progetto Gariwo sovverte l’organicità dell’insieme.

8. Il Monte Stella ha indicato alla contemporaneità una strada feconda: quella che vede il disegno urbano integrato al disegno di paesaggio.

Dalle macerie della Seconda guerra mondiale è nato un capolavoro, molto vissuto e amato dai cittadini. Un capolavoro che è insieme il memoriale civile della città martoriata dalla guerra e un messaggio di pace. Che va lasciato in pace.

Giancarlo Consonni Graziella Tonon



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