8 luglio 2015
Matteo Bolocan Goldstein, presidente del Centro Studi del PIM incaricato di dare attuazione “relazionata” alla redazione del Piano strategico della Città Metropolitana di Milano, ha messo meritoriamente intorno al tavolo una squadra interessante di soggetti universitari, consulenziali, professionali, associativi e – ben inteso – istituzionali per fissare punti di metodo condivisi nel momento in cui il “piano” potrebbe diventare “proposta”.
Il dibattito ha prodotto un venticello di mescolamento tra dinamiche istituzionali (partiti, istituzioni, associazionismo della rappresentanza) e dinamiche esperienziali (conoscenza, volontariato, cultura di impresa, associazionismo civile) nel tentativo di stare nei vincoli della domanda (la brutta legge Delrio, un bilancio già in deficit prima di cominciare, il rischio di essere travolti dai luoghi comuni che l’imminente campagna elettorale potrebbe produrre al riguardo); ma anche di farsi contaminare da qualche istanza salvifica.
Il solo inventario delle domande sugli esiti dei processi in corso (a cominciare da quella più ricorrente, cosa succederà dopo Expo?) è un contributo alla coesione metodologica del “cantiere”. Ma serpeggia anche un obiettivo che corrisponde a un conflitto vero e che ci auguriamo superabile: i contorni della città metropolitana amministrativa non corrispondono a quelli della città metropolitana sociale-economica-infrastrutturale e identitaria che riguarda gli assi Milano – Brescia e Milano – Bergamo, che investe integralmente l’area di Monza e Brianza e il lodigiano, che tocca nevralgicamente i corridoi di avvicinamento di grandi poli di urbanizzazione sovranazionali.
Da questo punto di vista il mio contributo – cioè espresso al tavolo in rappresentanza del Comitato Brand Milano – sul rapporto tra cittadinanza e partecipazione a questo processo, che passa attraverso analisi e prefigurazione della condizione identitaria e attraverso la praticabilità di un vero dibattito pubblico (brand come narrazione del mutamento identitario) è accolto con interesse. Già questo mette in concreta connessione due cantieri nati diversi e fatti per collaborare.
Ma la discussione avviata – con il contributo di chi ha sottomano i dati di omologhi cantieri importanti nel mondo, soprattutto con esperienze studiate e valutate – offre una possibilità maggiore. Offre cioè alla politica, ai media, alle imprese e a tutti i soggetti interessati, la possibilità di rinnovare profondamente la gerarchia dei fattori che una volta avrebbero occupato un “piano strategico territoriale” con i noti temi dell’urbanistica, dei trasporti, della casa e del lavoro, segnalando il rilievo dei fattori che nel mondo stanno diventando strategici: resilienza, sostenibilità, mobilità, identità, competitività.
Si costituisce insomma una nuova mappa integrata che funzionerà se avrà centrato con realismo almeno il confine temporale del piano. Gli esempi internazionali non fanno testo, vanno da 3 a 30 anni. La data che la città metropolitana di Milano sceglierà dovrà essere intelligente e non improvvisata. Tanto nessun potere in una democrazia accettabile può immaginare di controllare progetto e attuazione di un simile processo. E siccome non si guarda a breve termine, neppure ci si deve fare condizionare dall’attuale geografia politica. Tanto che il vicesindaco della città metropolitana Eugenio Comincini, chiudendo i lavori, punta sui rapporti interistituzionali soprattutto legati alle connessioni progettuali dei cantieri metropolitani di Torino, Milano, Bologna e Venezia.
Stefano Rolando