8 luglio 2015

musica – GERSHWIN E BERNSTEIN


 

GERSHWIN E BERNSTEIN

In un clima musicalmente grigio come quello che stiamo vivendo da quasi un secolo, in cui la musica colta del novecento e quella contemporanea sono spesso incomprensibili e raramente luminose, in cui sembra esser venuta meno la gioia di vivere che nei secoli passati la musica sia classica che romantica sapeva trasmettere così bene (tanto che finiamo per essere spesso spinti verso il peggiore conservatorismo), il concerto della Verdi della scorsa settimana, dedicato esclusivamente a musiche di Gershwin e di Bernstein, ha prodotto uno straordinario scoppio di allegria e di positività.

musica26FBIn programma c’erano tre capolavori arcinoti – il Concerto in Fa (1925) e Un americano a Parigi (1928) di George Gershwin e le Danze Sinfoniche dalla West Side Story (1957) di Leonard Bernstein – e uno meno noto ma non meno entusiasmante come la Ouverture Cubana (1932), sempre dell’autore della famosissima Rapsodia in blu. Dunque una vera e propria full immersion nel clima musicale dell’epoca in cui gli Stati Uniti – fra grande depressione e guerra mondiale – non hanno certamente vissuto tempi molto brillanti e ciononostante la forza vitale, l’ottimismo e la gioiosità della loro musica dimostravano come il paese avesse le energie necessarie per far fronte a tutte le avversità.

Protagonista assoluto del concerto un direttore d’orchestra il cui nome non è ancora scolpito nella testa dei musicofili milanesi ma che va tenuto in mente perché ha espresso qualità inusuali e tali da non poter non credere al suo futuro. Si chiama Carlo Tenan, non è più giovanissimo (sembra un trentenne ma è del 1969), esce anche lui dalle fila delle orchestre (è stato oboista sia al Comunale di Bologna che alla Scala di Milano), colleziona diplomi (in pianoforte, oboe, direzione d’orchestra, composizione e musica elettronica) e svolge un’attività molto variegata fra direzione, composizione e insegnamento (a Roma, Bologna, Milano).

Il suo curriculum lo dà formato alla scuola di Lorin Maazel – il direttore americano morto ottantaquattrenne giusto un anno fa – ma non può sfuggire come l’approccio direttoriale, i suoi gesti e le espressioni anche mimiche ricordino Claudio Abbado al quale dunque sembra debitore più che a Maazel. Devo riconoscere – contraddicendomi con quanto scrissi tempo fa in questa rubrica – che la provenienza di molti direttori di nuova generazione dalle fila dell’orchestra non sembra per nulla pregiudizievole, anzi. Già lo dissi di Bignamini (ex clarinetto piccolo della Verdi e oggi uno dei suoi acclamati direttori), lo ripeto ora a proposito di Tenan, la dimestichezza con il lavoro “in” orchestra aiuta molto il direttore a tessere il dialogo con i colleghi, gli consente una maggiore conoscenza delle problematiche tecniche, lo spinge a un atteggiamento più collaborativo che dittatoriale.

Nelle opere di Gershwin e di Bernstein Tenan si è trovato perfettamente a proprio agio, sintetizzando – o meglio tenendo in perfetto equilibrio – le anime classiche e jazzistiche dei due compositori, restituendo agli ascoltatori la freschezza e la prorompente vitalità della loro musica (formidabile, ad esempio, l’abilità con cui ha preparato l’entrata in scena del celeberrimo tema di charleston affidato da Gershwin alla tromba solista per descrivere l’incontro fortuito del turista americano con un suo conterraneo).

Qualche perplessità invece è emersa nel meraviglioso Concerto in Fa per pianoforte e orchestra, eseguito alla tastiera da Emanuele Arciuli, esperto gershwiniano, cinquant’anni appena compiuti, leccese che insegna a Bari e che si è creato una solida reputazione di ottimo interprete della musica americana. Perplessità non tanto dovute alla professionalità del pianista quanto alla non perfetta intesa fra questi e il direttore. Erano due Gershwin diversi fra loro, un dialogo fra due intelligenze che sembravano non condividere i fondamentali della partitura, due interpretazioni altrettanto legittime che, sovrapponendosi e contrastandosi, non permettevano di goderne l’esito. I ritmi precisi e il fraseggio rigoroso di Tenan non si sposavano alla melodiosità romantica  di Arciuli, i tempi del primo non legavano con la libertà di espressione del secondo; la discrepanza è risultata molto evidente nell’attacco rallentato e nei molti rubati del solista, forse un po’ troppi, che non hanno trovato riscontro nell’accompagnamento orchestrale. È mancata la sintesi fra le due letture che pure avrebbero dovuto e potuto trovare un punto di incontro nel reciproco rispetto, anche contrapponendosi. Così non è stato.

Il secondo tempo ci ha offerto tutt’altro genere, quello del famosissimo musical di Bernstein.  West Side Story è un grande capolavoro, spesso dato con superficialità e trattato come musica leggera o come balletto; è invece una moderna e complessa opera lirica di grande spessore, che qualcuno ricorderà nella bella edizione della Scala nel 2000, agli Arcimboldi, ma ancor più nell’edizione che chiamerei leggendaria del Festival di Bregenz del 2003, resa indimenticabile dalla gigantesca scena che riproduceva Manhattan (prodigiosamente installata sul palcoscenico apparentemente galleggiante che caratterizza quel festival), dal cast di cantanti e ballerini americani specializzati in quell’opera, sopratutto dall’atmosfera magica che ogni estate il tramonto riesce miracolosamente a creare sulla riva del lago di Costanza!

A proposito di Leonard Bernstein (1918-1990), mi preme sottolineare come raramente lo si accosti ad altri compositori come Kurt Weill (1900-1950), Dmitrij Šostakovič (1906-1975), Nino Rota (1911-1979) o Benjamin Britten (1913-1976), di poco più vecchi di lui, che con la loro vita hanno riempito il secolo scorso, e che – pur vissuti in mondi e in situazioni incomparabilmente diverse, quando non diametralmente opposte – hanno in comune la capacità di creare straordinarie melodie e di essersi sottratti prima alle lusinghe della dodecafonia e poi ai diktat della scuola di Darmstadt.

Il concerto si è concluso con il travolgente Americano a Parigi che ha suscitato un entusiasmo e un’allegria tali che l’orchestra ha dovuto concedere il bis del finale! E a proposito dell’orchestra non posso non segnalare l’impeccabile prestazione delle parti solistiche che abbondano soprattutto in Gershwin: per citarne alcune ricordo il melodioso violino di Luca Santaniello, il timpano assolutamente perfetto di Viviana Mologni, la voce suadente della tromba di Alessandro Caruana. L’orchestra tutta in realtà ha dimostrato grande passione e versatilità in un programma non facile e non proprio usuale.

 

 

 

 

questa rubrica è di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org a cura

 

 

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

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