1 luglio 2015

CIVISMO DI PROSSIMITÀ: LA CITTÀ FRAMMENTATA E I QUARTIERI


Milano sta vivendo una fase delicata in vista delle prossime elezioni del 2016: credo sia necessario, in questo momento, ridurre ulteriormente la  distanza tra l’agenda dei cittadini e quella del dibattito politico: la distanza tra il focus di politici e decision maker sui nomi di chi dovrà guidare Milano, e la realtà di una città che oggi comincia realmente a cambiare (ed è vestita a festa per Expo) ma è ancora abitata da tante famiglie alle prese con esistenze difficili.

02castellano25FBLe preoccupazioni della maggioranza degli italiani è concentrata – oltre che sul peso fiscale / tributario che grava sui bilanci domestici – sulla sicurezza, la corruzione, la legalità.

Milano è città difficile da vivere e da governare, così indiscutibilmente frammentata fra centro e periferie e, a macchia di leopardo, tra diverse marginalità ed esclusioni. Lo ha detto di recente l’arcivescovo Scola ma ne scrivono da tempo anche autorevoli sociologi. Evidentemente non basta mettere la voce “periferie” nell’indice dei programmi di chi si candida a governare. Dobbiamo rafforzare ulteriormente lo sguardo “oltre il centro” fisico e politico della città, non lasciarlo nel campo delle buone intenzioni: prendiamo atto che a Milano – banalmente – la forbice tra chi sta bene e chi vive nel profondo disagio è ancora troppo aperta.

Sappiamo che i primi quattro anni di governo del centrosinistra hanno visto una concentrazione di sforzi notevole sulla qualità della vita di tutti i cittadini. Ma a differenza del 2011, quando vent’anni di governo del centrodestra avevano creato molte attese di cambiamento, oggi dobbiamo confermare la fiducia dei cittadini su un cambiamento possibile in direzione della giustizia sociale, continuando a occuparci dei problemi più urgenti con risposte concrete. In che modo?

Se la somma di tanti piccoli interventi non fa una politica generale, una visione di Milano sulle grandi questioni – sicurezza, legalità, casa, lavoro – deve sapere declinare questi temi nel tessuto dei suoi quartieri e imparare a risolverli scomponendoli. Questo non toglie nulla a una visione unitaria della città, al “far volare Milano”, anzi. La si fa volare riconoscendo la disarticolazione delle sue unità urbane, sapendo leggere la diversa specificità delle sue tante “trame” sociali, creando altrettante comunità sostenibili federate in una grande metropoli civilmente europea.

La richiesta di una “governance locale” da parte dei cittadini è forte: una democrazia dal basso che arricchisca la partecipazione, non sporadica e di comodo ma davvero qualificante dei cives è, tra l’altro, l’unica maniera che hanno le amministrazioni di intervenire sul fenomeno della crisi della politica. È da qui che credo si debba ripartire per affermare un civismo che sia pratica onesta di realismo, che affermi diritti e doveri nel rispetto di un’etica della responsabilità che si traduca in scelte di equità.

Penso, allora, che la ricchezza di una proposta civica progressista debba essere una ricomposizione di tutte le energie sociali con cui in questi anni siamo venuti a contatto. Un civismo aperto, leale e plurale che cerca alleanza in primis nei cittadini – veri titolari dei diritti nei singoli ambiti di governo della città – sulle cose da fare, per andare incontro ai bisogni delle persone e non per tracciare confini di potere.

Un’unione delle diverse realtà che si sono riconosciute e sentite rappresentate nel progetto iniziale che aveva portato Giuliano Pisapia alla vittoria, anche di quelle che oggi sono sfiduciate e deluse, che vada oltre alla mera alleanza tattica tra partiti e movimenti nella condivisione dei nomi trasversalmente più contendibili.

Dietro il “trasversalismo” spesso non c’è un reale allargamento alle diverse sensibilità del territorio ma una volontà di affermazione egemonica che è il risultato della frammentazione dei partiti. II civismo progressista milanese non si è mai contrapposto ai partiti, semmai si contrapponeva al loro ruolo egemonico. E ora non può farlo con una spinta egemonica uguale e contraria. Da questo punto di vista a me sembra che il “Partito della Città” rischi di suonare come versione localistica del Partito della Nazione, dove si confonde unanimismo con unità. E i cittadini non chiedono di scegliere tra idee radicali e idee moderate ma semplicemente di avere risposte di “rivoluzionario buon senso”, che vadano alla radice dei problemi.

Pratica onesta di realismo, dicevo, a partire dal “piccolo concreto” dalle zone, che sono le prime forme di governo territoriale da ridisegnare. Per un civismo di prossimità, che sappia ricomporre il tessuto con il collante di una partecipazione realmente fondata sull’attribuzione di accresciuti poteri alle sue comunità diffuse.

Nelle politiche delle maggiori aree metropolitane europee si fa riferimento alla città metropolitana come federazione di municipalità, una forma di “unione” metropolitana come esercizio cooperativo e sussidiario di funzioni comunali: non più prodotto di semplice decentramento anagrafico, ma intreccio di comunità civile e sociale.

La nostra neonata Città metropolitana non può essere una voce tra tante di un programma enciclopedico ma deve superare gli steccati tra auto-organizzazione dal basso e governo dall’alto facendo leva sul riconoscimento di quei soggetti intermedi tra istituzione e territorio, sviluppandone le competenze negoziali e la capacità di fare rete tra “unità urbane” per produrre soluzioni nuove. Per costruire attraverso la prossimità e la semplificazione diffusa le condizioni di una sicurezza sostenibile.

Non è come dirlo, ma oggi credo sia questo il percorso. La vita adulta del governo di centrosinistra della città deve muovere dalle consapevolezze acquisite, anche degli errori fatti, nella precedente fase giovanile. E quella del funzionamento della governance territoriale è, a mio parere, questione urgente. Tutto ciò implica un lavoro madornale di riorganizzazione della macchina comunale e di semplificazione della burocrazia. Con una visione non gerarchica ma reticolare del governo della città. Tuttavia non è compito impossibile: il cantiere è stato aperto in questi primi quattro anni in cui abbiamo imparato a conoscere, zona per zona, le peculiarità, i bisogni, le energie del frastagliato territorio metropolitano. E abbiamo imparato, come civismo regionale, a conoscere le realtà che circondano e alimentano Milano. Ciascun territorio – come anche ciascun quartiere – ha proprie specificità, proprie identità, talvolta proprie culture e processi di crescita, e dunque va preservato il diritto a differenziarsi, a porre delle risposte diverse a seconda delle proprie diverse realtà.

Mi rendo conto che immaginare questo percorso senza pensare a un leader sia più difficile. Ma io credo che la politica debba cominciare a occuparsi meno di tattiche e più di pratiche faticose. Perché, come scrive Patrizia Ciardiello nel suo articolo pubblicato di recente su questo giornale, “impegnarsi nella costruzione di nuovi equilibri tra partecipazione e rappresentanza costituisce la nuova frontiera della democrazia”. Aggiungerei, una frontiera necessaria perché il prossimo appuntamento elettorale non sia percepito dai cittadini come la vetrina appannata di un Temporary Shop davanti al quale si passa con sguardo disinteressato e privo di aspettative.

 

Lucia Castellano



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali




Ultimi commenti