1 luglio 2015

VOTO DI SCAMBIO VIRTUOSO E DEMOCRAZIA MERCANTILE


La lancia spezzata da Luca Beltrami Gadola in favore del “buon” voto di scambio inteso come equazione tra voto espresso e ritorno di un “bene”, per quanto legittimo e democraticamente apprezzabile, richiede discussione in una fase in cui da un lato i risultati elettorali (anche parziali e locali) suscitano convulse agitazioni nel mondo politico e dall’altra masse ingenti di elettori disertano il voto stesso. Essenziale al riguardo la precisazione dell’autore “se la politica avesse nel suo DNA la razionalità“, ma qui sta il punto perché la politica oggi appare spesso incapace di raggiungere livelli accettabili di ragionevolezza e buon senso e, nel contempo, inadeguata a superare i limiti della piatta praticità del quotidiano e dell’ovvio.

04ballabio25FBIn teoria si può distinguere tra voto di scambio, di fedeltà o di opinione (parafrasando la classica tri-ripartizione del potere secondo Max Weber: razionale, tradizionale, carismatico). La prima repubblica visse in prevalenza del voto di fedeltà, con altissima e costante partecipazione (“vota per chi vuoi ma vota“) e piccolissimi spostamenti rispetto a un bipartitismo imperfetto ma solido. Fedeltà spesso “escatologica”, riferita a un sistema di valori e ideali, non sempre coincidente con la condizione materiale contingente bensì alle storie e tradizioni delle famiglie e delle comunità locali. Curioso notare come, ad esempio, nella bianca Brianza le poche “isole rosse” si collocassero – fin dall’inizio del ‘900 – presso i fiumi Lambro e Adda, raggiunti in bicicletta dagli operai socialisti dei cappellifici monzesi per la pesca e la scampagnata domenicale.

Ma appunto “acqua passata”, oggi del tutto residuale tra pochi irriducibili devoti al Partito e al Segretario di turno. Altro discorso vale per il voto di opinione, basato non sulla fedeltà bensì sulla fiducia in un leader politico oppure mediatico (editorialista, commentatore, conduttore e simili). Insomma un distinto depositario di informazioni e conoscenze cui non si offre partecipazione ma si attendono indirizzi e soluzioni. Tuttavia nella società liquida, e pertanto ondivaga, il ruolo carismatico dei leader stenta a solidificarsi e perdurare. Punti di riferimenti certi per intere generazioni come Togliatti e De Gasperi, Moro e Berlinguer, ma anche Indro Montanelli e Giorgio Bocca, rimangono un ricordo del secolo passato.

Resta allora il “razionale” voto di scambio. Fatti i debiti scongiuri per lo scambio indecente (pacco di pasta o equivalente) o peggio malavitoso vale appunto la ragionata, o ragionieristica, partita doppia del do ut des. Quali vantaggi mi procuri, in termini di qualità della politica e buon governo della cosa pubblica, in cambio di un voto non dovuto per cieca fedeltà o gratuita fiducia bensì speso da consumatore consapevole? Dunque il meccanismo democratico incontra il mercato a partire dalla basilare legge della domanda e dell’offerta: buoni programmi e soddisfacenti rendiconti pesati e pagati con la delega a governare pro tempore. (Tenuto conto che il crescente astensionismo aumenta la “utilità marginale” del voto espresso).

Ma qui l’analogia del comportamento elettorale con l’automatismo del mercato si scontra con un’altra difficoltà: la distinzione fondamentale nel dispositivo economico tra spesa corrente e investimento in conto capitale. Se la differenza tra lo statista e il politicante è che il primo pensa alla generazione futura mentre il secondo bada alla prossima elezione, allora il primo concepisce e agisce per investire a medio e lungo termine, inevitabilmente a scapito della spesa ordinaria ovvero del consenso immediato e della popolarità mediatica. Non a caso oggi l’alta visione circa i destini sociali, economici e ambientali dell’umanità viene da un’autorità monocratica non rieleggibile quale quella papale.

Ora, fatte le debite proporzioni, conviene tornare al tema iniziale: il cosa e il come fare in occasione della prossima tornata elettorale amministrativa a Milano. Scambiare il voto con valide proposte sugli importanti e impellenti problemi “milanesi” (post-Expo, Navigli, M4, ecc.) oppure anche con intuizioni più ampie che riguardino le questioni del territorio, della mobilità, del regime delle acque, della qualità atmosferica, ecc. nel sistema urbano compreso nell’area più vasta?

Considerare allora la creazione della Città metropolitana un’opportunità redditizia a più lungo termine piuttosto che un peso e un intralcio surrettiziamente sovrapposto all’operatività attuale dei Comuni. E pertanto fare sul serio anche per il decentramento effettivo e totale del Capoluogo, in alternativa al pantano delle competenze sovrapposte e “concorrenti” di cui alle delibere sui “Municipi” ora in discussione (come purtroppo confermato dal disarmante candore mostrato al riguardo dalla Presidenza del Consiglio Comunale nell’incontro con il Forum civico metropolitano svoltosi il 10 giugno a Palazzo Marino).

Basterebbe allora un gesto significativo per dare corpo alle buone intenzioni, per altro già presenti nel programma del 2011: estendere il voto delle eventuali “primarie” a tutti i cittadini metropolitani, posto che si andrà a eleggere un Sindaco tale di diritto! Si darebbe così finalmente voce anche alle centinaia di migliaia di pendolari non solo “utenti” della città ma protagonisti del lavoro e delle professioni, degli studi e del tempo libero, e tuttavia sinora deprivati di un diritto di voto legato alla residenza anagrafica ossia al “posto letto”. Nel caso lo scambio comincerebbe ad avvenire anche col futuro di una città più ampia, più efficiente, più democratica.

 

Valentino Ballabio

 



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