1 luglio 2015

LA MILANO DI DOMANI: PRIMA IL CHI O IL CHE COSA?


I risultati delle recenti elezioni amministrative inducono a una pluralità di riflessioni che vanno ben oltre il superficiale senso di stupore per le differenze tra il voto del primo turno e l’esito dei successivi ballottaggi, come accaduto in alcuni importanti comuni. La prima e più preoccupante riflessione non può che riguardare il riproporsi in modo dilatato e diffuso dell’astensionismo, con la considerazione che se non si riuscirà a invertire il trend, quanto prima si dovrà porre la questione della legittimità democratica delle istituzioni, ogni qualvolta il quorum di coloro che vanno a votare non supera il 50%. In particolare nel nostro sistema democratico non dovrebbe poter sussistere una diversa legittimità per i limiti e i vincoli imposti all’esercizio della democrazia diretta rispetto a quelli per le elezioni delle assemblee istituzionali.

05merlo25FBNe consegue che il fenomeno della non partecipazione al voto, non può essere relegato a riflessione meramente statistica, perché è questione della politica e della democrazia, come già ammoniva Jean Paul Sartre “Fossimo anche muti e quieti come sassi, la nostra passività sarebbe comunque un’azione”, o come ancor più sottolinea il costituzionalista Ainis, quando invita a riflettere su come “la democrazia entra in contraddizione con se stessa quando nega agli astenuti ogni influenza, benché essi siano la maggioranza del corpo elettorale”. In tutti i casi, l’astenersi dal voto nelle elezioni per le istituzioni territoriali, non è altro che il termometro sia del rarefarsi del senso civico di appartenenza e sia dell’evidente percezione di oppressione o di non utilità da parte dei cittadini nei confronti delle istituzioni.

Una seconda riflessione è la constatazione che ogni qualvolta l’elettore suppone che con il  suo voto possa incidere direttamente e di poter concorrere a provocare un effetto determinante in termini di cambiamento, come nel caso dei ballottaggi tra singoli candidati, tende a venir meno la pregiudiziale di parte riferita a un candidato, per optare per quello che gli appare come il più adeguato, o per dirla meglio con Piero Bassetti, si sceglie, in riferimento alla missione che lo attende, “il più performante”; infatti il trend delle ultime elezioni conferma il declino della fidelizzazione pregiudiziale così come la limitazione di capacità di spesa pubblica contrae le opportunità della pratica del voto di scambio.

Ulteriori riflessioni non possono essere trascurate, in quanto causano un impatto diretto nel modo di rappresentare la politica; la prima è che il PD, ultima espressione di partito di massa, eredità della Prima Repubblica, si è ormai trasformato in un partito di opinione, dato che si evidenzia dalla significativa volatilità di “numeri & percentuali” che si riscontrano nelle differenti elezioni (europee con quelle territoriali); mentre la seconda, è l’accentuazione, a livello territoriale, dell’avversione nei confronti della neo-verticalizzazione nell’esercizio del “government”, il cui mancato contrasto finisce per induce a una omogeneizzazione conformista delle “versioni” territoriali dei partiti nazionali.

Questa constatazione, accompagnata dal forte ritardo con cui i partiti affrontano la questione del loro rinnovamento, necessario per poter adeguarsi alla mutevolezza della dinamica del cambiamento che produce impatti disomogenei nelle diverse società a livello territoriale, comporta la insufficiente valutazione della diffusa domanda che sollecita a semplificare il modo di governare.  Oltre a ciò vi è una diffusa percezione che sia l’eccesso di verticalizzazione dei processi decisionali e sia il suo opposto, ovvero le dispersioni, le duplicazioni, le sovrapposizioni dei processi decisionali siano un preoccupante ostacolo all’esigenza di semplificare.

La perseverante immutabilità nel considerare sia il modello organizzativo e sia le modalità di esercizio delle “governance” sul territorio, ha finito per stimolare, il costituirsi e il diffondersi di nuovi soggetti che irrompendo direttamente o indirettamente nella scena politica territoriale, assumono una crescente e sempre più spesso determinante rilevanza. È proprio il moltiplicarsi di espressioni civiche che si trasformano in soggetto proattivo l’espressione più evidente, come peraltro si riscontra dai risultati elettorali, di una esigenza di cambiamento che la politica tradizionale, fatica a comprendere e a interpretare. Tutto ciò rischia di determinare, a livello locale, un contrasto tra chi si conforma ai principi della neo-verticalizzazione delle decisioni e chi propone, per converso, l’esigenza di costruire e consolidare la neo-centralità della governabilità se declinata livello territoriale.

Un trend indispensabile se si vuole semplificare, riorganizzare e rendere più pervasivo il rapporto tra istituzioni e cittadini, soprattutto nelle realtà più dinamiche e caratterizzate dal prevalere della soggettività nei comportamenti e dall’inadeguatezza dei processi informativi, la cui combinazione rappresenta probabilmente la principale causa del venir meno dell’inclusione civica e della sua conseguenza: la disaffezione e l’indifferenza civica che è alla base del sempre più contrastato rapporto tra istituzioni e cittadini.

È questa complessa dinamicità che caratterizza ogni comunità post moderna, e che provoca il declino di quell’aprioristica assegnazione di riconoscimento di “competenze nell’amministrare” e di “alterità morale”, che troppo spesso sono più espressione di un’autoreferenzialità che di oggettività di riscontri. Sempre più spesso i cittadini elettori sono giustamente scettici nel riconoscere o nell’assegnare apriori attestati di affidabilità performante, che sia neutra o avulsa da obiettivi perseguibili, condivisibili e verificabili nella loro dinamica progressiva e per i quali si chiede il consenso.

Anteporre il “casting” per la ricerca del protagonista, senza che il copione sia stato ancora scritto così come pure la sceneggiatura, è un voler mettere il carro davanti ai buoi o peggio ancora dare l’impressione di un’invariabilità di soluzioni di fronte ai nuovi problemi, e conseguentemente anche di un’indifferenza nella valutazione del potenziale di ciascun protagonista. Nella società globale, e nelle democrazie sono in disuso le soluzioni di tipo top down così come il riconoscimento di generica attrattività per i taumaturghi o per gli uomini soli al comando, quali presupposto per il raggiungimento del successo, bensì è la coerenza nel voler perseguire i risultati che sono stati prefissati nell’ambito di una condivisa visione progettuale e come la funzionalità e la coesione dei team chiamati a condividere con il primus inter pares rappresenta il fattore critico per il successo.

Prima di un candidato, la Milano di domani ha necessità di un progetto che valorizzi la continuità di tutte le positività dell’esperienza in atto, ma che includa e indichi come declinare tutte le discontinuità da introdurre per realizzare un modello di istituzione che possa realizzare l’indispensabile semplificazione nei rapporti con la comunità e soprattutto la realizzazione di un modello di governance proteso alla condivisione tramite la declinazione costante del diritto di informazione; un progetto per il quale l’aspirante sindaco dovrebbe offrire la garanzia di coraggio e poter essere percepito come il performante realizzatore.

 

Beppe Merlo

 

 



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