1 luglio 2015

VITTORIO GREGOTTI E L’IDENTITÀ DI MILANO


Il notevole articolo di Vittorio Gregotti, apparso sul Corriere della Sera di mercoledì 17 giugno scorso, rischia di restare una pagina perduta, una voce incastonata della griglia editoriale che va sotto la specie di Cultura e spettacoli, che non lascia tracce il giorno dopo. Il titolo poi, ovviamente editoriale e non scelto dall’autore, addirittura scoraggia il lettore frettoloso: ecco, anche il vecchio Gregotti ha fiducia nella “città che sale”, e quindi via, sorvoliamo. E invece l’articolo va letto e riletto; esso si presenta nella forma di un saggio breve, e come tale potrebbe (e forse dovrebbe) suscitare un dibattito, principiare un forum. E forse, dato il delicato momento nella storia delle città d’Italia, e data l’occasione di Expo, doveva essere posto in prima pagina, sotto un altro titolo, tipo “l’incerta identità e l’incognito futuro di Milano”.

09bono25FBGregotti indica in esordio le tre ragioni per le quali “Milano è una città sulla cui identità è molto difficile discutere“, e dopo averne esaminato le dinamiche e “la mescolanza di tensioni politiche, amministrative, economiche“, passa al cuore del tema: una sorta di critica strutturalistica al nuovo macro volume della fondazione Treccani: “Milano Expo 2015. La città al centro del mondo”.

La critica è radicale anche se indiretta, spesso affidata agli incisi e alle parentesi; il tono è garbato e contenuto, ma la problematica c’è tutta: e non è di poco conto nella evidenza delle questioni aperte e non risolte. Tra due parentesi, ad esempio, è chiaramente detto: “nei tre testi introduttivi l’Expo 2015 è imprudentemente annunciata come simbolo del futuro di Milano“. La conclusione dell’articolo è altrettanto chiara: “Il mio commento vuole comunque mettere in luce che, in ogni modo, questo volume rappresenterà una testimonianza importante del modo, assai particolare ma prevalentemente dominato dalla visibilità mercantile, con il quale si guarda in questi anni alla città di Milano, anziché criticamente al suo stato, al suo disegno urbano, al suo sviluppo e al futuro della sua società e dei suoi valori“.

E anche il suggello finale non è certo un DO di petto, mentre richiama “la nostra fiducia in una Milano migliore, anche se non è ben chiaro quale sia questo futuro“. Perfetta ars retorica dell’articolo, il cui messaggio è: potevo farne una stroncatura, mi accontento di mettere il dito sulla piaga.

Ovviamente, come in ogni buon saggio, il Gregotti mette in luce anche i pregi dell’opera, loda la buona impostazione storiografica, cita i validi contributi di Carlo Bertelli, di Sandrina Bandera, una calzante definizione di Marco Romano; e il buon lavoro di un settore fotografico: anche se, nell’insieme dell’opera, egli nota, le restanti immagini fotografiche sono fredde, senza l’affetto e la vita dei luoghi “e, ambiguamente, negano la mescolanza e le sovrapposizioni“: le quali darebbero un diverso e più veritiero senso alla città costruita.

La critica di fondo (e quindi lo stimolo per un dibattito) che si evince dalla lettura dell’articolo riguarda, a mio modo di vedere, le coordinate all’intersezione delle quali oggi si tende a porre la dinamica della “modernità” e della sua tradizione; entro le quali anche quest’opera si pone. Sono coordinate sfasate rispetto a quelle di un autentico sviluppo o progresso.

Sono le linee della globalizzazione transnazionale, non mondiale e vissuta in presa diretta, attivando nei contesti reti strette. Le linee e i punti di un consumismo bizzarro, in luogo della autentica ricerca dei luoghi. Uno sfasamento dello spazio-tempo, dove e quando la sperimentazione virtuosa è sostituita dal tentativo fine a se stesso.

Non si sa bene ancora quale sarà il destino dell’area Expo, per dire di un punto; non si sa ancora bene, per dirla nell’insieme, se sarà la “grande Milano” a vincerla: cioè la continuità che tracima nell’hinterland, o “Milano la grande”: cioè il vero policentrismo.

Milano la grande era anche lo stereotipo rinascimentale della città (Venezia la ricca, Bologna la dotta, et cetera): locuzione ben più stimolante della legge per le città metropolitane. Oppure, per scendere, invece, alle più profonde radici della nostra modernità, potremmo ricordare la “Città considerata come principio ideale delle istorie italiane”.

 

Cristoforo Bono

 



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali




Ultimi commenti