27 ottobre 2009

PRIMARIE. NESSUNO CI AVREBBE SCOMMESSO


Diciamoci la verità: nessuno avrebbe scommesso una lira su una partecipazione così ampia alle primarie del PD.

Quindi il PD è più forte e strutturato di quanto non pensino i suoi stessi dirigenti e viene riconosciuto dalla più parte degli elettori che ritengono inaccettabile Berlusconi and friends come una alternativa, magari più necessaria che credibile, ma comunque reale.

Se dopo una netta sconfitta elettorale alle europee, in una consultazione scarsamente affascinante per il dibattito, scarsamente operativa visto che in fondo si è scelto un leader che non sarà necessariamente candidato premier, scarsamente comprensibile nelle dinamiche interne, votano tre milioni di persone su 8 milioni di voti presi alle europee, questo significa che il partito c’è. A mò di paragone giova ricordare che nella prima repubblica nessun partito superava un rapporto iscritto/voti nelle aree più densamente militanti di 1 a 5, qui parliamo di un rapporto di 1 a 2,6, mentre il rapporto voti iscritti è di 1 a 10.

La infinita transizione della “cosa” è finita. Mancherà di identità, mancherà di strategia, mancherà di leadership ma non manca di una solida solidissima “base”, e scusate se è poco. Di partiti fortemente identitari, di strategie bellissime, di leader pseudo carismatici è pieno il mondo; di partiti con 3 milioni di aderenti ce ne sono pochi.

 

Anche il risultato dei contendenti è un risultato significativo. Prodi, Veltroni si erano misurati in competizioni un po’ farlocche, già scritte (non credo che siano stati in molti a pensare che Scalfarotto o Panzino, Adinolfi o Gawrosky fossero serie alternative) Bersani invece vince delle primarie combattute, la sua maggioranza è una maggioranza conquistata non scontata. Ma la vittoria di Bersani non è il solo risultato certo, l’affermazione di Marino dimostra che la base elettorale del PD è nettamente più orientata in senso “laico” di quanto non lo sia la sua classe dirigente, la preannunciata fuoriuscita di Rutelli non ne è che la logica conseguenza. Le primarie danno una dimensione quantitativa alle sensibilità interne come mai prima era successo.

 

Tutto cio premesso vediamo altri dati meno brillanti.

  1. se si fosse votato anche sui candidati alle regionali si sarebbe dato un impulso significativo alla campagna elettorale dei prossimi mesi che invece purtroppo sconterà ulteriori ritardi e divisioni
  2. l’ambiguità della vocazione maggioritaria, leit motiv veltroniano è ancora non chiarita: vogliamo o non vogliamo alleanze e con chi? Il congresso non ha chiarito mentre le leggi elettorali regionali approvate o proposte da un partito apparentemente oggi meno incline alla vocazione maggioritaria, nella sostanza lo sono invece più di quanto lo siano le berlusconiane leggi elettorali nazionali ed europea
  3. durante la consultazione si è chiesto da più parti che gli iscritti debbono contare di più rispetto al popolo delle primarie, richiesta che a fronte di questo risultato di partecipazione appare grottesca ma che tuttavia dovrà essere affrontata perché il modello partito appare del tutto irrisolto
  4. Le differenze regionali si confermano. Al sud vi è un partito obeso di tessere: in Campania un iscritto ogni 5 voti, in calabria uno ogni 4, in Lombardia uno ogni 24, mentre se dagli iscritti si passa alle primarie questo divario si riduce drasticamente, come a dire che vi sono nel PD due partiti: quello delle tessere e delle clientele e quello d’opinione. Difficilmente possono conciliarsi.
  5. Il divario tra il voto degli iscritti e il voto dei “primaristi” senza essere sconvolgente è alto sopratutto se si guarda alle liste Marino, questo significa che vi è in settori degli iscritti la tendenza a correre in soccorso del vincitore, a prescindere dall’opinione degli elettori.

 

Insomma il partito c’è ma le sue regole e il suo funzionamento restano confusi, si evincono più dai dati che dagli statuti, che infatti sono stati spesso bypassati.

 

Per la Lombardia l’analisi dei numeri è ancora impossibile, non essendo reperibili i dati, tuttavia si può dire che qui si sia già realizzato il partito d’opinione. I voti raccolti in Lombardia alle europee sono circa il 14% del totale nazionale; gli iscritti in Lombardia corrispondono al 5,6% del totale nazionale, al voto nei circoli hanno partecipato in 29000; i votanti alle primarie sono oltre 320 000. Nel milanese addirittura si supera in valori assoluti il numero di partecipanti alle primarie veltroniane. Ergo il rapporto voto elettorale/voto iscritti/ voto primarie delinea un partito in cui gli apparati (se mai esistono) hanno un peso trascurabile, dove l’unico rapporto che conta è quello tra eletto ed elettore, dove gli organismi dirigenti hanno solo un compito organizzativo. Ripeto un perfetto partito d’opinione, il che a mio modo di vedere è un fatto positivo che chiude con le storie organizzative dei partiti del secolo scorso.

Walter Marossi

 



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