24 giugno 2015

IL FUTURO DI MILANO: DOVE CERCARE LA NUOVA CLASSE DIRIGENTE


Nel dibattito di avvicinamento alle elezioni amministrative 2016 c’è un argomento che viene curiosamente omesso, ma rischia di essere decisivo. Si tratta di una – seppur sommaria – analisi della composizione sociale di Milano, fotografata dopo sette anni di crisi economica. Accanto alla contabilità del “cosa si è fatto, cosa non si è fatto, cosa si potrebbe ancora fare”, nel nostro bilancio di fine mandato dovrebbe vivere una riflessione più originale e, a mio avviso, più utile: con chi e per chi abbiamo lavorato. Se riteniamo di aver coltivato ciò che la città del 2011 esprimeva in potenza, è il momento di riflettere sui protagonisti insieme con i quali, da qui al 2021, vogliamo definire i nuovi assetti della città.

02_tajani24FBCi ha offerto uno spunto Dario Di Vico, pochi giorni fa, dal suo osservatorio sul Corriere della Sera: insieme al tradizionale aggregato sociale composto di lavoratori del pubblico impiego, della scuola e dell’università – scrive – nella città in trasformazione è rilevante la spinta delle competenze, cosa diversa dalle tradizionali “professioni”. Un blocco sociale composito quanto rilevante, anche in termini di espressione del consenso, che vive la contraddizione tra detenere un alto capitale umano e percepire un basso reddito.

La mia opinione è che le pratiche messe in campo in questi anni sia dall’amministrazione sia dal settore privato – microcredito, sharing, start up, coworking, nuove manifatture, nuove forme di distribuzione dei prodotti – abbiano dato voce a tali forze molto più di quanto il racconto della città e l’offerta politica abbiano registrato. Il divario è tra politiche – che consistono nell’amministrare assecondando forze vive e spontanee – e politica, che dovrebbe intuire, di là dai singoli tasselli, il mosaico; per renderlo riconoscibile prima di tutto ai diretti interessati, chiamandoli al protagonismo.

Si tratta di ceti sociali che vivono di lavoro, non di rendita. Con limitato potere d’acquisto ma crescente capitale simbolico, relazionale, culturale. Soggetti cui dovremmo rivolgerci in maniera privilegiata, anche per altre due ragioni. In primo luogo essi rappresentano uno dei motori propulsivi della “città che sale”, che si contende competitività internazionale con altre grandi piattaforme urbane. In secondo luogo, sono ceti quantitativamente crescenti e pongono un tema tipicamente politico, quello delle alleanze sociali prima ancora di quelle politiche.

Dovremmo proporre loro delle alleanze progressive e mutuamente vantaggiose con quella parte del mondo del lavoro e del sociale che hanno resistito trasformandosi nel mezzo della crisi, facendosi ponte tra due vocazioni storiche di Milano: innovazione e inclusione. Intorno a queste alleanze sociali, poi, affinare il progetto politico amministrativo.

Dalle analisi compiute dal 2008 al 2013, emerge infatti che mezzo milione di nostri concittadini vive di redditi da lavoro dipendente o “assimilati”, dove gli assimilati sono sempre più numerosi e vari: 300.000 pensionati, quasi 50.000 lavoratori autonomi.

La crisi ha fatto aumentare la consistenza delle due classi di reddito estreme: quella degli incapienti è passata da circa 3.000 individui a circa 4.000; quella dei redditi superiori ai 120mila euro è passata da oltre 26.000 individui a oltre 27.000. In generale si sono assottigliate le classi centrali – tra i 10.000 e i 26.000 euro – e sono aumentati gli individui che percepiscono dai 26.000 euro in su.

La lettura materiale della città è un tema rilevante che ci restituisce un’immagine della città più complessa e meno standardizzata rispetto al passato. È con questa complessità che, ben oltre le stagioni elettorali, bisogna misurare un progetto di governo, ma anche immaginare di far emergere nuove classi dirigenti cittadine. Non mi riferisco (solo) a quelle che amministrano il Comune ma, più ambiziosamente, a quelle che fanno camminare la città: si posizionino esse nelle imprese, negli enti intermedi o … dove non siamo abituati a cercarle, in ogni caso ben lontano dai salotti. Scopriremo – mi piace pensare di aver cominciato a farlo – che molti di loro portano sulle spalle già oggi, non in un prossimo e indefinito futuro, responsabilità importanti.

Il deficit nella proposta politica per Milano 2016 premierà chi saprà colmarlo insieme ai protagonisti, non accanto né al posto loro. Rendere evidenti nella società il sistema delle alleanze maggiormente progressivo e vantaggioso riduce la discrezionalità nella definizione del progetto politico-amministrativo e gli restituisce efficacia. Si tratta di passare dal tema dell’ascolto e della partecipazione a quello del protagonismo per nuovi attori e nuove alleanze, non politiche ma prioritariamente sociali.

 

Cristina Tajani

 



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