24 giugno 2015

LA DARSENA – E DINTORNI – GUARDATA PER PARTI


L’intervento su questa storica area dismessa di proprietà pubblica, ha avuto un grande successo tra i milanesi. La Darsena, ex Porto Fluviale è la testimonianza di una complessa infrastruttura di canali navigabili, che per 6 secoli ha caratterizzato il rapporto tra Milano e le vie d’acqua, man mano poi cancellato con la copertura dei fiumi, dei Navigli interni e dando altri usi alla Darsena, nonostante l’importanza che questa grande infrastruttura idraulica avesse per Milano.

09zenoni24FBMa non è mai stata uno spazio pubblico a disposizione dei Milanesi, che però non potevano dimenticarsi dell’abbandono dopo la fine della funzione di Porto e poi del cattivo uso fatto delle banchine, della mancanza dell’acqua in seguito all’iniziativa del parcheggio subacqueo che ha paralizzato a lungo l’utilizzo dell’area, il discutibile utilizzo come sede della fiera di Senigallia, della fatiscenza del mercato comunale senza dimenticare i loschi traffici che sempre prolificano nelle zone degradate.

Ora una vasta area pedonalizzata, prima inesistente, collega piazzale Cantore con piazza XXIV Maggio conglobando i Caselli Daziari che, facilmente accessibili, ora troveranno un uso più adeguato. Ricordiamo che i Caselli Daziari sono per Milano una infrastruttura storica seriale spesso sottovalutata e che quando recuperati, come in piazza XXV Aprile e XXIV Maggio, rivelano qualità architettoniche e di presenza ambientale di valore.

Dobbiamo dire che l’attesa della sistemazione della Darsena era ormai tale che qualsiasi soluzione si adottasse, purché si potesse utilizzare, sarebbe stata la benvenuta. E cosi è stato, avuto il plauso dei Milanesi è però necessario rifletterci dal punto di vista della scena urbana perché molto spesso gli ultimi interventi comunali sono stati un miscuglio di soluzioni accettabili e veri e propri errori di insediamento progettuale, stravolgendo le funzioni da tempo presenti e riflettendosi negativamente alla fine proprio sul disegno urbano che le circonda.

Certamente buona è la sistemazione e pavimentazione della larga banchina nord ben protetta dal rumore del viale d’Annunzio, con la previsione dell’accesso della Conca di Viarenna che conferma la volontà della riapertura dei Navigli, con un bel raccordo verso piazzale Cantore e il ridisegno dello specchio d’acqua di competenza della sede dei Canottieri, ma anche dalla presenza sulla banchina nord di un padiglione destinato a Caffetteria, ma provvisoriamente affidato alla Vodafone, occasione che la stessa utilizza per mettere pubblicità sulla struttura di tutti corpi illuminanti. Piacevole il leggero ponte pedonale che collega le due banchine nord e sud valorizzando così la parte sud che era la più degradata. Anche i materiali usati per le murature e i pavimenti, mattoni con fasce in pietra ci ricordano le mura spagnole ma anche le facciate delle case milanesi dove il cotto è sempre stato e lo è anche oggi ben rappresentato. Non si capisce invece la necessità di inserire tra cotto e pietra brani di altre due pavimentazioni una in legno e l’altra in ghiaietto cementato nella banchina nord e un vasto spazio asfaltato sulla banchina sud proprio in coincidenza del ponte pedonale. Rinunciando così alla continuità dei materiali e rendendone inutilmente complessa la futura manutenzione.

Questa bella passeggiata pedonale si prolunga e comprende anche i caselli daziari e la Porta del Cagnola fino a ora isolati a causa della viabilità, inserendo però alcuni fasci dei binari del tram a raso della zona pedonalizzata.

Viene anche parzialmente portata alla vista una testimonianza del Ticinello, canale che collega la Darsena con la Vettabbia, prima del tutto invisibile. Penso che in questo caso non si potesse fare di più per la complessità dei percorsi tranviari attorno alla porta del Cagnola.

Dal punto di vista della viabilità il nodo esistente era complesso per le troppe convergenze viarie e del trasporto pubblico. Il collegamento veicolare tra viale D’Annunzio e viale Gian Galeazzo ora è diretto e non interferisce con la zona pedonale mentre quello tra viale Gorizia, Col di Lana, corso San Gottardo e la deviazione su Ascanio Sforza si sposta sul lato sud ed est di Piazza XXIV Maggio dove è presente il raccordo tra le due circonvallazioni, col grande pregio di mantenere tutti i percorsi precedenti ma al prezzo di un esagerato uso di progettazione viabilistica delimitata da una pesante presenza di corsie, cordoli e semafori che rendono difficoltoso, per il cittadino che proviene da San Gottardo e Col di Lana, raggiungere la zona pedonalizzata.

E veniamo ora agli elementi risolti in modo poco rispettoso sia della funzione civica che della loro nuova definizione architettonica ma che di fatto sembra vengano usufruiti senza problemi. Il mercato comunale precedente faceva parte della efficiente rete impiantata su tutta la città tra gli anni ’30 e ’40 e appartiene alla categoria di quelle architetture minori molto importanti per definire la scena urbana e soprattutto le zone pedonalizzate. Purtroppo. fin dalla nascita di basso valore architettonico, hanno dovuto spesso essere spostati a causa dello straripante traffico urbano che ne rendeva difficile l’accesso ai cittadini o spesso ristrutturati con risultati estetici non migliorativi.

Ma i pochi rimasti, come quello di piazza Wagner, obbedendo nella distribuzione interna alle peculiari caratteristiche distributive tipiche di questi edifici e cioè al percorso continuo, sono ancora estremamente piacevoli e di facile fruizione, e il loro interno mi ricorda ogni volta “la Vucciria” di Guttuso per l’eterogeneità e accostamenti di colori dei prodotti accumulati in poco spazio.

Sensazione che non ricorda certo il nuovo progetto del mercato che ha mantenuto il basso livello architettonico dei vecchi mercati milanesi e peggiorata la fruibilità rinunciando al percorso continuo e offrendo un dispersivo percorso a pettine che costringe a tornare indietro in fondo ai brevi pettini e che ha anche oscurato la vista sulla Darsena senza alcuna ragione. Inutile anche la esagerata altezza interna e la forzatura della struttura in ferro e vetro che nella sua banalità ricorda una stazione di servizio stradale, e che invece, restando sull’argomento, doveva ispirarsi agli Autogrill che consci del loro ruolo non sono mai banali.

Si è volutamente rinunciato in questo progetto alla creazione di un “opera minore” di qualità che poteva diventare essenziale invece per arricchire la scena urbana della zona pedonalizzata. Non si capisce anche la posizione della tradizionale pescheria, mantenuta indipendente quando invece poteva far parte del mercato, ma anche qui, nella scelta di restare da sola, manca la ricerca di nobiltà architettonica delle “opere minori”. Mentre appare funzionale invece il corpo negozi su via D’Annunzio con il suo doppio uso, da una parte barriera al viale D’annunzio e dall’altra come mercato coperto ma aperto dove come tradizione dei mercati milanesi si ospiteranno le funzioni collaterali alla attività principale come i riparatori di biciclette, fiorai e altre funzioni utili alla vita di tutti i giorni. In questo caso la semplice costruzione in mattoni a vista segue la continuità di funzione e di materiali sul viale D’Annunzio.

Del tutto inaccettabili e spero provvisori, invece il cubo nero e i due padiglioni bianchi in ferro e vetro posati su piattaforme galleggianti e attraccate alla banchina nord. Il cubo è solo pubblicità urbana, (quella che a Grenoble è stata bandita dalla città mentre a Milano dilaga), ma per raggiungere il suo scopo è purtroppo visibilissimo da lontano, da qualsiasi lato ci si avvicini alla Darsena e la domina in modo volgare e inopportuno.

Assieme alle due strutture bianche in ferro e vetro galleggianti, su una delle quali spicca il nome della Regione Lombardia, e sull’altra per adesso fanno solo pubblicità, questi tre inserimenti sullo specchio d’acqua sono una inaccettabile occupazione di un’area che invece dovrebbe rispettare la memoria storica del Porto di Milano e quindi continuare a essere utilizzato con funzioni di competenza portuale e non sottrarre superficie d’acqua per sfruttamenti pubblicitari o di presenzialismo.

Nel complesso, davanti al successo dell’intervento, che ricordo è dovuto essenzialmente alla disponibilità di un area per il tempo libero che prima non c’era, il progetto tra la creazione di una zona archeologica o una di straniante modernità ritengo possa essere accettabile e assimilabile al concetto di Continuità che ci ha insegnato Rogers a proposito del rinnovamento delle città.

Resta solo il rammarico per come avrebbe potuto essere ancora meglio con una maggiore attenzione verso i particolari costruttivi, una continuità più rigorosa delle pavimentazioni, una migliore qualità nella progettazione dei mercati e senza la invadente presenza pubblicitaria.

 

Gianni Zenoni

 



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