17 giugno 2015

CRONACHE DAL FONDO D’ITALIA, DOVE (R)ACCOGLIERE PROFUGHI È COSA NORMALE


Quattrocentocinquanta eritrei improvvisamente escono dai tendoni allestiti nel porto di Augusta, in provincia di Siracusa. E, davanti allo sguardo sgomento dei soccorritori, si mettono a correre, veloci, come se dovessero gareggiare per la corsa dei cento metri. E invece la loro meta è saltare il muro, i cancelli del porto e raggiungere Catania, la stazione ferroviaria, Milano e poi la Germania. Fermati, da carabinieri e polizia, in 40 sono riusciti a prendere la via della libertà (di scelta). Nel frattempo un gruppo di siriani tirano fuori dai bagagli portati sui barconi strumenti musicali, flauti, violini per festeggiare, omaggiare i loro salvatori, perché ce l’hanno fatta. Bastano queste due immagini-metafora a spiegare il nuovo esodo e di come viene affrontato da chi sta in trincea. Anche nel 2015.

07giudici23FBSe a Bruxelles si litiga e si cerca di affondare l’agenda immigrazione che prevede una ripartizione più equa in Europa dei profughi, per ragioni di politica interna dei paesi membri della Ue, se nelle Regioni del nord Italia si solleva la polvere della demagogia per alimentare il disagio(reale) dell’onda anomala sempre più grossa dei profughi – per ragioni di bassa lega della Lega Nord – quaggiù nei porti orientali della Sicilia, si sta in trincea. E si lavora come sempre senza sosta e con molta fantasia. Con quel senso di ineluttabilità dipinto sui volti di poliziotti, carabinieri, ufficiali dei corpi marini, volontari della protezione civile, che sanno che è così e basta. Che questo esodo non si può fermare con gli slogan. E non hanno tempo di affidarsi ai cavilli etici o politici. Del resto, in Sicilia ora ci sono 17mila immigrati, cioè 260 persone ogni 100mila abitanti. Mentre in Lombardia le cifre sono più basse: 60 ogni 100mila (fonte Caritas).

Ormai, a conti fatti, profughi e migranti sbarcati stanno superando la soglia, inaudita, di 50mila persone in soli cinque mesi, e nelle capitanerie dei porti orientali della Sicilia i rovelli sono di altra natura. Devono capire chi sono gli scafisti, l’equipaggio dei trafficanti, tracciare le nuove rotte, dare risposte immediate ai profughi e lottare contro la burocrazia italiana ed europea, che continua a moltiplicare centrali operative. Affidate sia alla Guardia Costiera, sia alla Marina Militare, sia alla Guardia di Finanza, che, con le loro operazioni di soccorso si intrecciano, si scontrano e spesso bloccano il flusso delle informazioni. Complicando il lavoro quotidiano di chi nei porti, dopo gli sbarchi, deve fare le indagini, che assomigliano alle fatiche di Sisifo.

Al porto di Augusta dall’inizio del 2015 sono sbarcati 10mila migranti. Da una nave della Marina Militare belga, Nave Godetia, mandata a pattugliare il Mediterraneo per conto della missione Triton, sono appena scesi 213 siriani, che hanno pagato 5mila euro a testa per lasciare la Turchia.Il membri del Gicic, il Gruppo Interforze di contrasto all’immigrazione clandestina, la task force della procura di Siracusa, guidata dal commissario Carlo Parini, ascoltano le deposizioni dei profughi che hanno accettato di testimoniare.

Guardano sullo schermo del pc la foto dei caicco partito dalla Turchia e, calcolate latitudine e longitudine, arrivano alla conclusione che i migranti sono stati in mare sette giorni. E che sono andati alla deriva per due giorni verso il Canale di Sicilia, con un pilota automatico innescato prima della fuga da scafisti e trafficanti, che li hanno abbandonati per tornare ad Antalya per prendere un nuovo carico di merce umana. Perché i siriani, più facoltosi, preferiscono ora affidarsi a mezzi sicuri, e non rischiare di morire come accade spesso se si parte dalla Libia, dove le carrette sono fatiscenti, vengono stipate di persone, e rischiano ogni volta di capovolgersi …. per continuare a leggere l’articolo su Linkiesta clicca qui.

 

Cristina Giudici



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