17 giugno 2015

NOZZE DI CLASSE: SENILITÀ E NAVIGLI OGGI SPOSI


Quando si vuole esprime la propria contrarietà a volte la ruvidezza diventa indispensabile: è il caso del progetto di riapertura della fossa interna dei Navigli, della quale tanto si è parlato negli ultimi tempi. E se n’è fatta persino materia di referendum. È un’idea vecchia, urbanisticamente sbagliata, disallineata rispetto ai problemi milanesi, il relativo referendum è ipocrita e per finire è un’idea “classista”.

01editoriale23FBL’ultima occasione pubblica nella quale ho avuto l’opportunità di esprimere la mia opinione al riguardo è stato il convegno organizzato alla Triennale nel maggio del 2012 da Italia Nostra: “Le acque e i canali nel piano Beruto”. Rileggendo la mia relazione di allora, compresa negli atti del convegno, so che vado a ripetermi, se pure con qualche aggiunta che riguarda l’attualità del dibattito. Repetita iuvant.

Una vecchia idea. A mia memoria una delle prime volte che se ne è parlato è stato in occasione di un incontro all’In/Arch Lombardia (1) nel 1979 o forse nel 1980. È passato troppo per ricordare le date esatte. In quell’occasione Marco Romano affacciò quell’idea ed io, che allora ero presidente di quell’istituto, scossi la testa: la cosa già allora non mi piaceva. Marco Romano mi ha ricordato, qualche giorno fa, che volendo comunque sostenere la sua tesi – utilizzando i mezzi grafici di allora – fece dei fotomontaggi e, visto il risultato, abbandonò l’iniziativa, anche se io per primo non ero poi così contrario nel tentare un approccio progettuale al tema.

La proposta, infatti, aveva un contenuto provocatorio rispetto alla gestione urbanistica della città che stava vivendo i primi anni del sacco immobiliare di Salvatore Ligresti, le cui fortune vennero per la prima volta all’onore delle cronache proprio in quegli anni: nel febbraio 1981 la moglie di Ligresti venne rapita dai mafiosi della famiglia di Stefano Bontade. Fu rilasciata due mesi dopo in uno scenario pieno di ombre (la mafia a Milano esisteva già allora). Era giusto dunque mettere in campo iniziative anche solo culturali che andassero esattamente nella direzione opposta e la riapertura dei Navigli era una di queste.

Da allora tutto è cambiato ma qualcuno ha fatto di questa idea la sua ragion di vita e un gruppo di arzilli vecchietti miei coetanei ha raccolto sino a oggi proseliti anche tra i meno vecchi ma certo non tra i giovani o i giovanissimi: la cosa curiosa è che la Giunta milanese li abbia presi ancora sul serio.

Un’idea urbanisticamente sbagliata. È un maldestro tentativo di rimetter indietro le lancette dell’orologio per andare a ricostruire un ambiente urbano che una serie di delibere comunali degli anni 1929 e 1930 avevano modificato all’insegna di una spinta tardo modernista/futurista (auto, traffico, velocità). È un pezzo della storia urbana milanese e non dei peggiori. Abbiamo troppi rimorsi per le trasformazioni urbane di quel tempo? La storia le ha consolidate e noi le abbiamo metabolizzate. Per finire, pochi comunque sono gli spazi attuali che paesaggisticamente giustificherebbero un recupero, forse solo Piazza San Marco, la conca di Varenna e quella dell’Incoronata.

Un’idea disallineata rispetto ai problemi milanesi. Il fonte dei problemi della nostra città è molto ampio e diversificato. Per riassumere le urgenze faccio mie le parole di Renzo Piano: rammendare la città. Rammendo urbanistico e rammendo sociale. Se vogliamo restare solo agli spazi pubblici e condivisi, abbiamo un’ampia scelta tra piazze e quartieri non solo periferici ma a macchia di leopardo. Abbiamo anche per esempio bisogno di spazi per manifestazioni pubbliche che richiedano allestimenti per non utilizzare ossessivamente piazza del Duomo o il Parco Sempione: servono altri spazi ben connessi. Mi viene subito in mente lo scalo Farini, tanto per citare un’area disponibile, sottraendola all’ennesima operazione immobiliare. L’elenco delle necessità puntuali sarebbe lunghissimo. In cima non c’è proprio la riapertura della fossa interna dei Navigli.

Un’idea “classista”. Anche se Zygmunt Baumann sostiene che viviamo in una «società liquida» e parlare di classi sociali diventa difficile, non saprei come definire certi atteggiamenti se non “classisti”. La riapertura dei Navigli, che indubbiamente perpetua l’incapacità di guardare oltre il centro città, la città della borghesia ricca e degli affari, non solo nega nuove centralità ma traccerebbe ancora un segno territoriale di confine. Non ne abbiamo bisogno. Se questa è un’operazione che Milano vuol mettere in campo mentre dall’altra è incapace di affrontare il problema della città metropolitana siamo perduti.

Due parole sui referendum. Mi scuso per l’autocitazione ma nel 2012 dicevo: “L’altro aspetto è proprio la valutazione dell’opportunità complessiva di fare operazioni così costose come quelle che inevitabilmente si farebbero in questo caso. Questo perché? Perché nel fare una valutazione costi/ricavi l’unico criterio vero, intelligente è quello della valutazione costi/ricavi per confronto.”. Con cosa raffrontiamo l’operazione apertura del Navigli? L’elenco come ho detto è lunghissimo. Facciamolo e poi decidiamo. Fare un referendum senza questo confronto è ipocrisia ideologica.

Un lettore del Corriere della Sera, contrario a questa riapertura, ha chiesto giorni fa alla Bossi Fedrigotti dove ci saranno i tavoli per firmare per il no. Se ci saranno io ci sarò.

Luca Beltrami Gadola

(1) Sezione lombarda dell’Istituto Nazionale di Architettura




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