17 giugno 2015

AMMINISTRATIVE E PD: L’ALTALENA DEL 40%


Dopo anni di vacche magre, le brillanti vittorie di Milano, Bergamo, Como etc unitamente alle lunghe code per partecipare alle primarie, alla scoppiettante rottamazione di vecchi dirigenti sostituiti con nuove leve, alla crisi di senescenza della coppia Berlusconi Bossi con il conseguente smarrimento organizzativo – politico – culturale del centro destra, alla ritrovata autostima da renzismo governante hanno fatto pensare che il percorso elettorale fosse in discesa.

02marossi23FBCosì sabato chi è andato alla bella e rumorosa festa PD alla spazio Ansaldo in via Bergognone oltre che di temi programmatici ha sentito “corridoialmente” parlare di: È meglio fare o non fare le primarie? Perché non c’è Majorino? C’è un rischio Liguria? Cosa fa Sala? E la procura? Quanta gente c’era da Boeri? Fiano ha il sexappeal del candidato? Bussolati vuole fare il partito della città? Con chi? Martina o Guerini in regione? E Alfieri? E Gori? Perché ci sono in sala così tanti morattiani (nel senso di Letizia)? Mancano gli arancioni? Perché Pisapia vuole spostare le primarie? Gli assessori si candidano? E via dicendo …

Nel clima gioioso della kermesse l’avversario era dato (salvo i soliti bastian cuntrari) per defunto, inumato e dimenticato. Il risultato di domenica è stato invece un brusco risveglio, una disillusione, non una sconfitta ma la battuta d’arresto di una rincorsa iniziata nel 2010. Battuta d’arresto per i dirigenti locali ma sopratutto per i romani che contavano su un “onda lunga” un “effetto Renzi” che non c’è o peggio non è sufficiente. Facile prevedere la ricerca di colpevoli.

Cos’è successo? Fondamentalmente che il doppio turno, fino a oggi “l’arma vincente” del centro sinistra è diventato uno strumento utile a ricomporre il centrodestra. Novità assoluta e preoccupante visto che anche l’Italicum prevede il doppio turno. Inoltre il decomposto centrodestra si ricompone partendo dal basso e dall’elettorato cioè il contrario di quanto successo negli ultimi venti anni.

Perché? Perché il PD e il centrosinistra hanno scarsa memoria e si sono dimenticati che:

1) innanzitutto ci si deve comportare diversamente a seconda del diverso sistema elettorale. Il doppio turno obbliga a modalità di comunicazione che non sono quelle del turno unico. L’avversario di ieri diventa l’alleato di oggi. Dare del “pirla” a uno e poi dirgli “tra quindici giorni votami” ha lo stesso appeal di farsi vedere uscire dal bagno senza lavarsi e procedere a grandi strette di mani.

2) le elezioni le vincono in primis i candidati. Questo deve portare a valutare le primarie non come un principio assoluto ma come una tecnica. Recito Terlizzi: “Gli effetti di confondere le primarie con le elezioni possono essere devastanti … le campagne di comunicazione dei candidati alle primarie sono strutturate su linguaggi “di parte”, cioè rivolte a una base elettorale già convinta della bontà di stare in un determinato “campo” e che, attraverso il proprio voto, è alla ricerca della leadership più forte e convincente che la rappresenti e la faccia vincere. Per questo non possono sostituire l’elaborazione programmatica da offrire all’intera comunità, nazionale o locale. Confondere le primarie con le elezioni effettive, comporta un flop comunicazionale e politico davvero clamoroso: il proprio “popolo” vuole identificarsi con il miglior leader e farlo con orgoglio di appartenenza, non vuole ricette “generali” ma scelte esistenziali e strumenti “culturali” per mettere nell’angolo e zittire gli avversari dell’altro “campo”. “.(1)

3) le alleanze non sono più scontate. Il secondo turno non serve a recuperare “i voti di sinistra che sono andati ai Cinque stelle o nell’astensione”. Il voto di sinistra ma in generale il voto di appartenenza non c’è quasi più; sopratutto una parte dell’elettorato radicale non considera Renzi e il PD di sinistra. Occorre prendere atto che non si può guardare all’elettore moderato, fare un programma moderato poi pensare di recuperare l’elettore radicale in modo “nostalgico” e viceversa. Talvolta questo avviene perché il candidato è di per sé una garanzia, ma non tutti per la loro storia e la loro campagna lo possono essere. Indicativa la vicenda di Lecco dove il candidato della sinistra non ha dato indicazioni di voto al secondo turno mentre il PD et apparentati hanno ricevuto il voto dell’ex sindaco, capogruppo di Forza Italia, assessore regionale, leader di Cl, braccio destro e cognato del celeste Giulio Boscagli, per anni una delle bestie nere della sinistra. Esemplare la sua dichiarazione “quello che si gioca nel prossimo ballottaggio non è una sfida tra il bene e il male, tra una visione cattolica della vita e una laicista, e neanche tra sinistra e destra … quello che è in gioco è la guida della città” con tutto quello che significa.

La strategia “Lecco” ben più che l’effetto Liguria sarà al centro delle prossime campagne elettorali lombarde (e spiega anche perché tanti morattiani alla Leopolda di via Bergognone).

4) le campagne elettorali non sono un po’ di passeggiate al mercato e qualche comparsata di ministre/i. Devono essere scientificamente studiate e pianificate e costano; non si fanno le nozze con i fichi secchi. Sopratutto recuperare un voto dall’astensione richiede un lavoro enorme non un appello finale alla tv locale

5) le liste civiche non sono dei posteggi occasionali di elettori. Nei comuni sono pezzi di (aspirante) classe dirigente con una propria identità e un proprio linguaggio.

Una battuta d’arresto che servirà forse a ridurre quella certa supponenza, da partito del 40%, che si avvertiva in molti neorenziani, ma non una sconfitta: certo da oggi tutto è più difficile.

Walter Marossi

(1) Mauro Terlizzi, Primarie. Istruzioni per l’uso. Storia, modelli, casi e alcune considerazioni, L’Ornitorinco edizioni, 2012, pag 122



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