17 giugno 2015

AL POSTO DELLA PIETÀ RONDANINI COSA?


Quasi tutti i critici della nuova collocazione e dell’allestimento della Pietà Rondinini concordano su tre questioni: la posizione centrale dell’opera nel grande spazio dell’ex Ospedale Spagnolo sottrae alla Pietà la dimensione intima, appropriata al tema; l’illuminazione uniforme riduce le ombre al minimo e arrotonda la tensione espressiva; l’eleganza del pavimento ligneo è estranea alla ruvida tragicità della Pietà.

09caruso23FBC’è poi una quarta questione, che va ribadita e portata in primo piano. L’allestimento del Museo Civico del Castello dei BBPR – che è un caposaldo della museografia del dopoguerra, insieme al Museo di Castelvecchio e a Palazzo Abatellis di Carlo Scarpa e al Tesoro di San Lorenzo di Franco Albini – è stato concepito, al piano terra, come un percorso spaziale concluso dalla Pietà, che ha assunto un grande valore iconico proprio in relazione alla sua posizione in quel contesto museale. Il Museo del Castello, senza la Pietà, è ancora l’opera integra dei BBPR, apprezzabile come tale? L’allestimento – o, meglio, quello specifico allestimento, concepito in modo così unitario con il restauro degli antichi spazi e la collocazione di quelle opere – è possibile separarlo da esse, e, in particolare, dall’opera che ne ha determinato il carattere spaziale più eccellente? Cosa sarebbe il Museo di Castelveccio senza la statua equestre di Cangrande I della Scala?

Sembra mancare la consapevolezza del valore del lavoro di Lodovico Barbiano di Belgiojoso, Enrico Peressuti ed Ernesto Nathan Rogers, che costituisce, invece, una delle ragioni – insieme al lavoro di diversi altri architetti milanesi del dopoguerra – della notorietà internazionale di Milano, una delle ragioni culturalmente più stabili e consolidate, non effimera come un evento espositivo, né motivata dalla temporanea e luccicante novità della costruzione di alcuni edifici molto alti. Sembra mancare la consapevolezza che la parola “allestimento” è, in casi come questo, inadeguata nel suo comune senso di opera provvisoria, derivante dagli apprestamenti per le rappresentazioni teatrali e per le mostre temporanee. E che non si sia compreso, in ultima analisi, il concetto di unità del Museo del Castello come opera d’arte.

È stato valutato, tornando alla Pietà, che la sua potenza espressiva è prodotta dalla sua criticità? I ripensamenti e i rifacimenti dell’opera michelangiolesca le conferiscono un vigore problematico e contradditorio che la fa travalicare i confini classici dell’arte della scultura, e la rende superiore a definizioni e limiti, e a ogni classificazione temporale. Rogers ha scritto che la sua energia si continua in noi indeterminatamente, sollecitando per sempre un’emozione che è conseguenza della realtà e della sua problematica aperta. Il nuovo allestimento – questo, sì, è un allestimento – la spettacolarizza fortemente, la illumina troppo e riduce le condizioni che liberavano l’emozione critica di cui parla Rogers.

Ma la nuova collocazione è ormai un fatto compiuto, ed è costata molto. Il grande pubblico è in coda per ammirarla, e ogni ipotesi di ritorno della Pietà nella sua collocazione originaria è economicamente e politicamente irreale, scontrandosi, tra l’altro, con le ragioni di accessibilità che sono state una motivazione non infondata del suo spostamento.

Il tema, oggi, è quale opera installare al posto della Pietà, modificando o meno l’installazione architettonica dei BBPR. È questo l’oggetto dell’incarico che sembra essere stato conferito a Vittorio Gregotti, cui spetterebbe di concepire la sistemazione alternativa. Un compito davvero difficile, se si ritiene che la Pietà sia stata un elemento fondamentale del lavoro dei BBPR, e che la sua nuova collocazione abbia danneggiato il Museo come opera d’arte.

Una copia della Pietà, collocata al suo posto, dietro allo schermo curvo di blocchi di pietra serena, può soddisfare la condizione di ricostituire il percorso e l’unità museale? Dovrebbe essere, ovviamente, un intervento esplicito, raccontato ai visitatori – ai quali consentire, con lo stesso biglietto di ingresso, di visitare anche l’originale (e viceversa) – illustrando le ragioni museografiche della scelta. Il David di Michelangelo, collocato in piazza Signoria davanti a Palazzo Vecchio, non è forse una copia dell’originale custodito alla Galleria dell’Accademia? E non sono entrambi visitati, il primo per il suo ruolo importante nel paesaggio urbano e il secondo per l’emozione della sua eccellenza artistica?

La mostra Serial Classic, curata da Salvatore Settis alla Fondazione Prada, ha suggerito e riproposto il grande tema dei multipli, frequentato dall’arte contemporanea, ma anche nell’antichità romana, quando la produzione di copie dei capolavori greci è stata importante, afferma Settis, come in nessun altro periodo dell’arte occidentale.

È una strada da percorrere con il necessario distacco critico, e, considerato l’investimento contenuto che comporta, potrebbe essere percorsa in modo sperimentale.

Alberto Caruso



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali




Ultimi commenti