10 giugno 2015

IL NUOVO SINDACO E IL MEGLIO DI PISAPIA


A Milano la sinistra governa ed è legittimata a continuare senza il soccorso di esegeti. Se si vuole uscire dalla schematica e conformista narrazione della politica a Milano, occorre affidarsi al non convenzionale ArcipelagoMilano, e in particolare nell’ultimo numero all’editoriale di Luca Beltrami Gadola e le analisi sul voto di Walter Marossi. La persistenza di una politica a debole influenza, esercitata dai partiti a trazione nazionale, favorisce a livello locale, l’inflazione di espressioni elettorali, che più che a declinare valori civici, sembrano essere rappresentazioni elettorale dei tanti fai da te che la politica, in versione semplificata, stimola, quando non sono la riproposizione, a fini elettorali di esperienze nimby da contado.

02merlo22FBI partiti nazionali nelle loro espressioni territoriali faticano a sviluppare una capacità autonoma di elaborazione al fine di proporre visioni che abbiano a riferimento le esigenze del territorio e della sua comunità in fatto di aspirazioni, esigenze, diritti antichi e nuovi che in ogni comunità si manifestano con intensità differenti: il non saperne tener provoca impatti non positivi con il rischio di ricadute anche sulle esperienze nelle quali si è protagonisti attivi.

Il particolare stato di debolezza della politica è la conseguenza dell’essere rimasta orfana della legittimazione ideologica, soprattutto se interpretata e declinata con eccessiva religiosità e faziosità, che oggi viene inevitabilmente percepita come impreparata a fronteggiare la modernità, la destrutturazione dei vincoli territoriali che provoca la globalizzazione con la conseguenza di una doppia negatività: quella di non risultare più credibile sia per quanto riguarda lo sforzo illuministico di presupporre di poter precedere i grandi fenomeni sociali e sia soprattutto di non saperli accompagnare, che è poi la vocazione di una politica riformista nelle moderne democrazie.

Il trend della disaffezione al voto, il cui punto più alto coincide sempre più con le elezioni regionali – Istituzione cui il popolo è sempre meno affezionato – si sta estendendo anche alle elezioni nei comuni, a evidenza di quanto sia ormai venuta meno, sia “la religiosità dell’impegno a votare” e sia l’esigenza di identificarsi in un partito.

Vi è senz’altro un’oggettiva difficoltà a comprendere, interpretare e dare coerenti risposte alla “dinamica liquida” dei bisogni e dei diritti, una dinamica sempre più accentuata dalle soggettività, che ne alterano le gerarchie in termini di priorità e che caratterizza ulteriormente la declinazione del collettivo “noi” in una sommatoria di tanti “io“; ciò rende assai friabili i tentativi di fidelizzazione elettorale sia dei corpi intermedi, sia dei beneficiari di un esercizio del potere indirizzato alla prassi del voto di scambio, perché una volta passata la festa il santo è gabbabile.

Ci troviamo nel mezzo di una transizione tanto complessa quanto indeterminabile, che dovrebbe innanzitutto indurre a una lettura diversa delle articolazioni del dinamismo sociale e imporre l’imperativo di doversi rinnovare se si vuole essere credibili rinnovatori.

Per farlo non vi sono comode scorciatoie, ed è sconsigliabile incorrere in errori di interpretazione, scambiando espressioni elettorali di natura congiunturale in evidenze del consolidamento di un processo di rinnovamento che per essere tale esige ben altre risposte, o peggio ancora ricercare la legittimazioni della rappresentatività della politica venendo meno alle proprie responsabilità per ricercarne la credibilità “opponendo all’uso politico della giustizia l’uso giudiziario della politica” come lucidamente ammonisce Ainis.

La comunità milanese è una comunità moderna, i suoi membri sono quotidianamente segmentati e profilati non solo da chi intende promuovere prodotti e servizi ma soprattutto dagli inesauribili registi occulti dei social network che selezionano gli “io“, li profilano al fine della composizione dei diversi “noi“, nei quali l’identità degli appartenenti tende a riconoscersi, rendendoli sempre meno permeabili sia alle iniziative dei creatori di suggestioni nonché alla presunzione di emozionalità per scritturare leadership o sollecitarle nella forma di autocandidature.

LBG, ha ragione a interrogarsi sul “cui prodest” di un comitato di 11 saggi finalizzato alla perimetrazione del campo di gioco e delle regole per iscriversi al concorso per il candidato a Sindaco di Milano per il centro sinistra, magari più che un Sindaco un Podestà, il tutto prima ancora che sia chiarito e condiviso a che Milano ci si vuole riferire e quindi se si condivide la visione di Milano, che solo la politica nella sua più vasta accezione può indicare, nonché quali impegni si assumano per assicurarne il perseguimento, e quali garanzie assicurino in termini di rinnovamento da declinare nel segno della continuità.

Di una saggezza in nome dell’etica forse non se ne sentiva il bisogno, perché il meglio dell’amministrazione Pisapia è dato dall’aver ricostruito l’etica della governabilità che si era smarrita a Milano, un’etica politica che è servita a ricondurre i partiti nei confini delle loro missioni, di comporre una classe dirigente che corrispondesse all’espressione aperta della città emarginando i pregiudizi, le corporazioni e le faziosità; un gruppo dirigente che al di là dei giudizi di merito ha dato vita a un governo che è stato percepito come attento e solidale e orientato alla tutela dell’interesse generale.

È la vera discontinuità, rispetto al ventennio precedente di centro destra. Così Milano dispone di una classe dirigente politica e civile legittimata e autosufficiente, non necessita di tutoraggi, e che può sin da ora incominciare a pensare alla fase due, fase che richiede di andare oltre all’esperienza attuale, sia per oggettive esigenze di modificazione istituzionale e sia perché sono cambiate e continuano a cambiare le dinamiche delle esigenze sociali. Milano, come già nel suo passato ha l’esigenza: di una sua autonomia, di confermare orgogliosamente di poter fare da sola, e che la priorità non è tanto quella della selezione del candidato sindaco, quanto le convergenze necessarie per dare sostanza a un modello ambrosiano per governare la Milano nel prossimo decennio, con il paradigma dell’impegno a perseguire la realizzazione del Diritto di Informazione, la cui prima manifestazione non potrà che essere la realizzazione di una copia intellegibile del bilancio da recapitare a ogni milanese già a partire dalla edizione del bilancio 2015.

Infine, più che di regole, peraltro assai ben definite dalla Costituzione, l’etica che dovrebbe sovrintendere il percorso democratico di selezione degli aspiranti sindaci, dovrebbe circoscriverne il perimetro alle sole candidature di chi nel quinquennio abbia realmente dedicato interesse civico e impegno politico per la comunità milanese, che siano scoraggiate le auto candidature estemporanee e la volatilità nell’impegno istituzionale da parte di chi è stato votato dai cittadini, per ricercare nuove opportunità di candidature, portare a termine gli impegni assunti è l’ABC di un comportamento etico nonché rispettoso nei confronti del movimento o del partito che lo ha proposto e sia di coloro che lo hanno eletto.

Beppe Merlo



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