10 giugno 2015

PD MILANO. LA SMART CITTADINANZA O IL CONSIGLIO DEGLI 11?


A questo punto come interpretare la scelta del “Gran consiglio degli 11 saggi?”: un ritorno a metodi pre anni ’70?, la volontà di eludere metodi proattivi di far politica?, un’incapacità di comprendere realtà nuove? Il segnale non promette bene, dopo il drastico dimagrimento del Pd nelle elezioni locali di Emilia Romagna e Veneto.

03longhi22FBÈ utile una premessa per comprendere la situazione attuale, dove il progresso dei sistemi cibernetici e, sopratutto, l’alta connettività, contribuiscono a trasformare la città in una molteplicità di piattaforme interattive per lo scambio di conoscenze, per sperimentare nuove forme di democratizzazione della produzione di sapere e nuove forme di generazione di valore. In questo contesto, i cittadini hanno sempre più la possibilità di modellare e ottimizzare il proprio ambiente urbano e di collaborare con gli altri per raggiungere obiettivi comuni, realizzando in gran parte l’utopia dei pensatori degli anni ’70.

Karl Sharro in un editoriale su Architectural Review del maggio scorso (Abolish planning policy to liberate creativity) ritorna su un vecchio tema: il carattere impositivo dei processi di pianificazione, frutto della pretesa dei burocrati di modellare la città, e con essa, la vita dei cittadini. L’approccio alternativo è il ruolo attivo dei cittadini nel plasmare le loro città.

Karl Sharro riprende la famosa questione della progettazione e della governance top-down mitigata dai processi di consultazione e di partecipazione, sollevata da Cedric Price, Peter Hall, Reyner Banham e Paul Barker con Non Plan: an experiment on freedom (1969, New society) i quali non chiedono l’abolizione della pianificazione, ma sottolineano come questa parola sia usata impropriamente per l’imposizione di soluzioni arbitrarie. Nella loro visione la pubblica amministrazione dovrebbe stimolare il desiderio di conoscere invece di imporre arbitrariamente, con il fine di promuovere un piano di investimenti che sarà gestito dalla comunità. Propongono quindi il passaggio da una governance ordinativa a una proattiva, questione ripresa da Harvey (1973, From Managerialism to Entrepreneurialism: The Transformation in Urban Governance in Late Capitalism).

Negli stessi anni il ruolo attivo dei cittadini è l’argomento guida di un gruppo di straordinari architetti – ciberbetici – anarchici (Nicholas Negroponte, Cristopher Alexander, Alan Kay) i quali vedono nelle capacità accresciute dell’uomo grazie alle nuove macchine cibernetiche la via verso forme di progetto e di governance egualitarie.

Anche se i nuovi processi tendono a essere contrastati dalle forze politiche locali, la soluzione non può essere la conferma di modelli di governance appartenenti al passato, ma la sperimentazione di nuovi modelli che permettano di trasformare la tensione tra le iniziative bottom-up dei gruppi informali di cittadini e top-down della governance istituzionale in un processo d’innovazione sociale aperto, collaborativo e generatore di nuove opportunità. A questi principi s’ispira il modello di governance dell’Urban Living Lab, fortemente sostenuto anche dall’Unione europea.

Attraverso l’applicazione dei principi dell‘Urban Living Lab il Pd darebbe un segnale forte della sua volontà di favorire i processi innovativi promossi dalla comunità e della sua capacità di calibrare i processi di innovazione metropolitana rispetto alle esigenze dei cittadini, stimolando processi collaborativi con una molteplicità di stakeholders. Darebbe il segnale di voler attivamente facilitare lo scambio di idee e abbassare le barriere tra i diversi attori sociali, applicando il modello della quadrupla elica, ossia delle iterazioni fra l’amministrazione locale, il mondo della ricerca, le imprese, i cittadini per sviluppare un palinsesto concentrato sulla creazione di valore sociale e sull’impegno civico.

La scelta dell’Urban Living Lab sarebbe un chiaro segnale verso una progettazione della città più centrata sulla “Smart Cittadinanza” che sulla “Smart City”, con progetti “user-centric“, attenti all’innovazione a servizio degli utenti, la co-creazione e la collaborazione fra una grande varietà di stakeholders. I progetti e le strategie per la “Smart Cittadinanza” mirerebbero quindi ad aumentare la qualità della vita urbana, usando metodi organizzativi e progettuali innovativi basati sulla collaborazione, la partecipazione e un impegno “multi stakeholder”, nei quali le tecnologie innovative servono come enabler piuttosto che come driver.

Operando attraverso la struttura dell’Urban Living Lab secondo la filosofia della “Smart cittadinanza” si darebbe un chiaro segnale della volontà di operare in simmetria con i programmi dell’UE e, di conseguenza, stimolare quelle politiche e quelle visioni sottovalutate nella recente tornata amministrativa.

Velocemente si possono ricordare le seguenti urgenze: l’attivazione di un sistema di big data da parte della pubblica amministrazione, essenziale per l’avvio di Internet delle cose. Con questo la municipalità sarà in grado di rinnovare la sua capacità storica di supportare l’innovazione; avviare un piano strategico metropolitano ‘aperto’, basato sull’attiva e informale collaborazione di un ambito che coinvolga otto milioni di abitanti, per compensare l’infelice processo istituzionale promosso dalla Legge Delrio; coordinare un armonico sviluppo delle tecnologie abilitanti, per facilitare l’ammodernamento del sistema produttivo metropolitano e avviare nuovi processi occupazionali; sviluppare iniziative per attrarre nuovi saperi, per accelerare il livello di integrazione con il sistema internazionale della ricerca; avviare una riflessione sui processi locali di gestione della ricchezza, a tutela della comunità.

I cittadini della megalopoli milanese più di gran consigli sono alla ricerca di nuove infrastrutture civiche capaci di fornire visioni stimolanti e proattive per il futuro.

Giuseppe Longhi



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