10 giugno 2015

“MAFIA CAPITALE”: SCIOGLIERE O NON SCIOGLIERE, QUESTO IL PROBLEMA*


Prevedibile o no, il secondo tsunami politico-giudiziario abbattutosi sulla Capitale ha travolto le ultime (scarse) riserve di credibilità e reputazione dell’amministrazione comunale. Tutti i partiti coinvolti, esponenti di primo piano collusi mani e piedi con l’organizzazione criminale, turpi speculazioni sulla pelle dei disperati: la cloaca che emerge dalle intercettazioni degli inquirenti mette brutalmente a nudo una situazione che si è tentato di nascondere in questi mesi.

06stolfi22FBAdesso che succede? È la domanda angosciosa che da qualche giorno agita i massimi livelli di governo del Paese e toglie il sonno a chi è chiamato a dare le irrinunciabili risposte. Lunedì della prossima settimana arriverà sul tavolo del prefetto di Roma, Franco Gabrielli, la relazione finale della Commissione d’accesso agli atti insediatasi sei mesi fa, all’esplodere dell’inchiesta “Mafia Capitale”, e presieduta dal prefetto Marilisa Magno.

Pur senza conoscere ancora i contenuti del rapporto, il prefetto Gabrielli non rinuncia a una certa loquacità: “Preso atto dei risultati dell’ispezione – sono le parole dell’ex capo della Protezione civile raccolte dalle agenzie – avrò tempo fino al 30 luglio per decidere se chiedere o meno al Ministero degli Interni lo scioglimento per mafia del Comune di Roma. Passerò un luglio di grande riflessione”. Pende infatti sul suo capo una decisione dalle conseguenze politiche terrificanti, di cui lui stesso non coglierebbe fino in fondo la portata se fossero vere le sue dichiarazioni: “Se dovessi decidere di proporre al ministro dell’Interno lo scioglimento dell’amministrazione di Roma Capitale – avrebbe detto Gabrielli – sono consapevole che una parte sarà contenta e un’altra scontenta. Sarà difficile accontentare tutti”. Ma non si preoccupi, signor prefetto, lei non deve accontentare o dispiacere nessuno, deve solo accertare oggettivamente se esistono o meno le condizioni dello scioglimento. Le conclusioni politiche dell’inchiesta le lasci ad altri, come prescrive la legge.

L’ipotesi di scioglimento del consiglio comunale infatti è prevista dagli articoli 143-146 del decreto legislativo 267/2000 quando emergono elementi concreti, univoci e rilevanti su collegamenti diretti o indiretti degli amministratori locali con la criminalità organizzata o su forme di condizionamento degli amministratori stessi, che compromettono la libera determinazione degli organi elettivi e amministrativi e il buon andamento delle amministrazioni comunali e provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi alle stesse affidati.

In tal caso il prefetto invia una sua relazione al Ministro dell’Interno, previa consultazione del comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica integrato dal Procuratore della Repubblica e dal Procuratore distrettuale Antimafia competenti per territorio. Il Ministro dell’Interno a sua volta può proporre lo scioglimento dell’ente al Presidente della Repubblica, che emetterà il decreto di scioglimento, previa deliberazione del Consiglio dei ministri entro 3 mesi a decorrere dalla presentazione della relazione del prefetto.

Fin qui la procedura. Ma a nessuno sfugge la gravità di una decisione destinata a propagarsi istantaneamente in tutto il mondo e dalle conseguenze imprevedibili, a pochi mesi dal Giubileo straordinario (inizia l’8 dicembre), con la candidatura delle Olimpiadi di Roma 2024 ancora in ballo (l’assemblea capitolina deve votare la delibera entro questo mese) e mentre discutiamo con mezza Europa le condizioni per l’accoglienza dei migranti, epicentro dell’intrallazzo mafioso.

Di fronte a questa prospettiva sembrano prevalere ancora una volta gli interessi di bottega. Il Pd romano già commissariato ha il marchio dell’infamia di Fabrizio Barca che l’ha definito “un partito non solo cattivo ma pericoloso e dannoso, che lavora per gli eletti anziché per i cittadini e dove non c’è trasparenza”. Ma Renzi, Zingaretti e Marino fanno quadrato intorno allo status quo, per quanto indifendibile, atterriti all’idea di andare in queste condizioni alle elezioni amministrative che seguirebbero il commissariamento. La considerano alla stregua di un suicidio politico che aprirebbe la strada a imprevedibili soluzioni e fanno dire all’incolpevole assessore Sabella che “le condizioni per sciogliere il consiglio comunale devono essere ‘attuali’, mentre noi abbiamo voltato pagina”.

Sull’altra sponda il centrodestra reclama a gran voce le dimissioni della giunta e nuove elezioni, come se l’amministrazione Alemanno non ci fosse mai stata, o i consiglieri di Forza Italia arrestati o inquisiti fossero delle pecorelle smarrite, o non avessero mai incontrato le cooperative bianche e rosse. In mezzo c’è Alfano a cui spetta, come Ministro dell’Interno, il compito cruciale di presentare o meno al Consiglio dei Ministri la proposta di scioglimento dell’assemblea capitolina. E Angelino ha già cominciato a mettere le mani avanti: “L’indicazione tecnica del prefetto dovrà naturalmente orientare quella politica, anche se non è affatto scontato che si seguano alla lettera le indicazioni. Così come anche la mia proposta non sarà vincolante per il Consiglio”.

Per quanto si farà ogni sforzo per evitare agli occhi del mondo che Roma possa essere commissariata per mafia, la situazione si è talmente incancrenita e l’infezione mafiosa è penetrata così in profondità che non è affatto detto che si riesca a evitare lo scioglimento. Tanto vale allora, finché si è in tempo, adottare spregiudicatamente il “modello Fondi”, dal nome della cittadina laziale dove sindaco e consiglieri di maggioranza di centrodestra si dimisero in blocco prima di qualsiasi decreto di scioglimento. Ora, a parti invertite, sembra questo l’unico escamotage rimasto alla giunta Marino per evitare il rischio che l’amministrazione venga sciolta d’ufficio per “infiltrazioni criminali”. Se così non sarà, si andrà verso l’ignoto.

 

Emanuele Stolfi

 

* tratto da http://www.romacapitale.net/



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