10 giugno 2015

VIA SARPI E I PORTALI DI CHINATOWN


È in corso da mesi un dibattito, innescato nel DUC (Distretto Urbano del Commercio) Sarpi, proseguito in Consiglio di Zona 1 con un passaggio anche in commissione consiliare al commercio, in merito alla proposta di installare durante il periodo Expo due portali tipicamente cinesi alle due estremità della via Sarpi. La proposta, portata avanti da quei commercianti cinesi (UNIIC – Unione Imprenditori Italiani in Cina) che con la loro invasiva attività commerciale all’ingrosso hanno trasformato il quartiere in una piattaforma logistica per il commercio all’ingrosso, è stata motivata come uno strumento di marketing commerciale che, caratterizzando il quartiere come quartiere cinese, dovrebbe convogliare nel quartiere molti turisti – in particolare ricchi cinesi – con allettanti vantaggi per la filiera commerciale della via Paolo Sarpi.

12lionetto12FB«Soluzione temporanea per i soli mesi dell’Expo, ma se poi i portali piacciono, perché non lasciarli definitivamente, così come lo sono in altre Chinatown nel mondo?» Motivazioni che non hanno trovato consenzienti né i commercianti al dettaglio della via Sarpi (che teoricamente dovrebbero essere i maggiori beneficiari di questa “opportunità commerciale”) né la maggior parte degli abitanti del quartiere che contro questa ipotesi si sono attivati da subito con una raccolta di firme indirizzata al sindaco Pisapia. La proposta per contro ha trovato favorevoli l’Assessore al Commercio e il CdZ 1 il quale ha votato una funambolica delibera che, per mediare fra le varie “ragioni di contrasto”, propone, in un linguaggio non politichese, portali mobili smontabili a piacimento in concomitanza con eventi specifici.

La storia dei portali ha avuto risvolti paradossali: «Discussioni sul nulla» – l’Assessore al commercio dixit – «non c’è alcuna richiesta concreta d’installazione dei portali, ma solo preannunciata dal consolato cinese» (sappiamo quanto il consolato cinese abbia influenza su questa giunta: ricordate il caso del Dalai Lama?) e intanto faceva fare la verifica tecnico-amministrativa agli altri assessori competenti. Velate accuse di razzismo («gli unici coerenti sono i leghisti, che razzisti erano e razzisti restano», ancora l’Assessore), per finire poi con un colpo a sorpresa: mentre il CdZ si apprestava il 27 maggio a bocciare l’idea dei portali in mancanza di una richiesta formale ecco che come per magia si materializza un progetto di portale che, in barba a quanto raccomandato dallo stesso CdZ, non ha nulla di mobile e di facilmente smontabile!

Ecco in sintesi le motivazioni che portano a contrastare l’installazione dei portali:

* rappresentano un segno di chiusura in quanto delimitano un “territorio” in contrasto con la peculiarità di Milano città aperta al mondo, capace di includere senza creare comunità chiuse;

* sono un retaggio del passato, portali fuori tempo: è anacronistico installare oggi nuove porte in un’epoca che vede immigrati dal mondo intero come parti integranti della realtà italiana e milanese in particolare, quasi porre le basi per quartieri “monoetnici”;

* caratterizzano inesorabilmente il quartiere come un “quartiere cinese” (quando solo il 10% di coloro che vivono in zona appartiene alla comunità cinese), creano muri che non facilitano l’integrazione fra culture differenti, diventano strumento di divisione non di coesione sociale.

Il quartiere invece si è caratterizzato da sempre come un insieme di diversità, un quartiere multiculturale capace di includere cittadini da ogni parte del mondo; ma è anche il quartiere che in questi ultimi quindici anni ha visto trasformare radicalmente il suo tessuto socio-economico per la massiccia presenza dell’attività commerciale all’ingrosso che, svolta senza regole, ha inciso pesantemente sulla vivibilità dello stesso e ha compromesso la qualità della vita dei residenti.

È molto importante tenere presente questo contesto che fa sì che l’installazione dei portali risulti agli occhi degli abitanti un riconoscimento da parte della pubblica amministrazione della presenza definitiva nel quartiere dell’attività all’ingrosso anche se in conflitto con il PGT, quasi un “premio” ai grossisti cinesi per tutto quello che di irregolare e illegale si è mosso e si muove attorno a questo mondo.

Si acuisce così fra la popolazione l’amarezza per tante aspettative deluse (in tanti ricordano le affermazioni del Sindaco Pisapia del dicembre 2011: “restituiremo la zona Sarpi alla città e ai suoi abitanti”); aumenta la rassegnazione che cela però malumore e rancore in chi si sente lasciato solo a risolvere i problemi nella loro quotidianità. Rancore verso l’amministrazione, rancore verso l’immigrato, rancore che lavora nel profondo di ciascuno. Grave se l’amministrazione comunale, anziché prevenire il nascere di situazioni che rendono poi più difficile creare vera integrazione, si attivasse per accentuare i contrasti solo per favorire un’operazione commerciale a beneficio di una sola e unica filiera, come ci conferma chi studia da vicino tutte le realtà delle “Chinatown” in giro per il mondo.

Anche la critica ricorrente sul “provincialismo” del “No ai portali” è fuori luogo: la storia di Milano, la sua capacità di accogliere cittadini del mondo, la sua apertura verso il nuovo mal si concilia con porte, portali o muri che delimitano e non uniscono. Se pensiamo alla New York multiculturale, cui Milano spesso guarda come modello, proprio da New York ci viene un esempio molto istruttivo: nessun portale è presente a delimitare l’importante e storica comunità cinese ivi insediata.

Pier Franco Lionetto

Presidente Associazione Vivisarpi



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