4 giugno 2015

RAI MILANO: SE, COME E PERCHÈ


Come un fiume carsico periodicamente riemerge nel dibattito cittadino il tema del possibile potenziamento della sede Rai di Milano. In queste settimane l’occasione è quella della destinazione dei terreni dell’Expo. Dal punto di vista Rai il problema è innanzitutto logistico. Attualmente lavorando con due localizzazioni a Milano moltiplica semplicemente i costi di coordinamento e di spostamento.

05gambaro_21La vecchia sede di Corso Sempione deve essere bonificata dall’amianto e ha una divisione degli spazi pensata negli anni cinquanta, quindi è probabile che sia conveniente abbandonarla, visti anche i possibili valori immobiliari della zona, per concentrare tutte le attività in un’unica nuova sede. Ma questi sono prevalentemente problemi interni Rai. Nel dibattito pubblico il tema è piuttosto quello di richiedere un rafforzamento della presenza produttiva della Rai a Milano che si giustificherebbe con l’importanza della città e con la necessità di rappresentare le sue evoluzioni, i suoi umori e il suo essere capitale economica. Ma Milano, in effetti, ha un’industria televisiva ed è Mediaset, cresciuta e radicata in questa città attorno alla cui sede, nella periferia nord est si è sviluppato un indotto produttivo e un cluster di tecnologie audiovisive avanzate.

È utile partire delineando l’organizzazione Rai. La televisione pubblica è localizzata sostanzialmente a Roma dove vi sono tutte le direzioni giornalistiche, editoriali, di produzione e gestionali, e dove lavorano circa tre quarti dei dipendenti totali. Inoltre in seguito alla riforma del 1975 Rai ha una presenza territoriale con una sede in ogni regione. Nella maggior parte delle regioni vi è una sede con funzioni di coordinamento e rappresentanza locale e una redazione giornalistica che realizza il Tg regionale e funge da terminale per le altre testate giornalistiche nazionali. A Milano Torino e Napoli oltre alla redazione del Tg regionale è localizzato un vero e proprio centro di produzione, cioè una struttura produttiva con studi regie e postproduzione, in grado di produrre, più o meno autonomamente, programmi. I tre casi però sono diversi.

A Napoli col tempo si è sviluppata una specializzazione produttiva sulle sere di lungo periodo e si è creato un indotto di personale artistico e operativo coinvolto in queste produzioni, che però sono realizzate prevalentemente da società esterne, proprietarie dei format internazionali.

A Torino vi è una presenza storica della Rai, che come EIAR in quella città era nata, e mentre programmi se ne producono pochissimi sono rimaste in quella città numerose funzioni gestionali, tra cui parte dell’amministrazione e parte dei sistemi informativi.

A Milano si producono alcuni programmi i cui protagonisti sono milanesi, ma il centro non ha una vera e propria specializzazione, Qualche anno fa la Lega nel periodo del suo massimo splendore aveva preteso e ottenuto che una direzione di rete, in questo caso rete due, fosse spostata a Milano ma l’unico effetto è stato quello di una moltiplicazione degli uffici e qualche trasferta per i dirigenti di quella rete, ma nessuno spostamento effettivo c’è mai stato.

Quest’organizzazione fortemente territoriale è comune a tutti i servizi pubblici europei, ma sembra guidata più dalla volontà dei politici locali di poter rivendicare successi locali che non da necessità produttive o editoriali. Negli ultimi quarant’anni sono nate circa cinquanta imprese televisive private in Europa. Nessuna di queste ha un’articolazione territoriale paragonabile a quella dei servizi pubblici. Qualche volta qualcuna produce lontano dalla sede, se ci sono necessità specifiche. Ad esempio Mediaset pur essendo un’azienda fortemente milanese produce gran parte della fiction a Roma perché la filiera di produzione della fiction è prevalentemente localizzate a Roma e lì il pool di risorse è più ricco. In effetti l’industria televisiva è caratterizzata da forti economie di scala e da forti economie di agglomerazione. Lo stesso accade nell’industria audiovisiva. Oltre metà del cinema mondiale è pensato, prodotto e gestito in un’area di pochi chilometri quadrati a Los Angeles.

I vantaggi di una maggiore presenza televisiva della Rai a Milano sarebbero costituiti dall’indotto che si crea, visto che la produzione televisiva è molto labour intensive, e dalla possibile complementarietà con piccole imprese tecnologiche e audiovisive che potrebbero evolvere in un cluster specializzato. Questi vantaggi locali dovrebbero essere pesati con gli svantaggi e i maggior costi che Rai dovrebbe sopportare per non tenere gran parte delle funzioni vitali nella sua sede principale.

È un dibattito difficile che deve tenere conto non solo delle aspirazioni locali, che ci sono in tutte le regioni, ma anche della logica dell’industria televisiva. Lo stesso succede altrove. I separatisti scozzesi chiedono con forza che una parte proporzionale del canone sia tolto alla BBC e dato a loro per fare la televisione pubblica scozzese. Ci sono anche i casi di successo. In Svizzera, nonostante la dimensione del Paese, la televisione è articolata nelle tre aree linguistiche con presenze produttive importanti. In Germania il secondo canale pubblico ZDF, proprietà congiunta delle diverse televisioni regionali, ha sede autonoma in un’altra città, Magonza, ma è un’azienda separata e con una missione editoriale molto specifica. Ma questa è un’altra storia. E nei casi tedesco e svizzero i costi sono alti e il canone è più del doppio rispetto a quello italiano. Anche questo deve entrare nelle decisioni e nel dibattito.

Marco Gambaro

Docente di Economia della Comunicazione all’Università Statale di Milano



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