27 maggio 2015

NUTRIRE IL PIANETA E LE ARROGANZE DI CIVILTÀ


Mentre l’Expo spa conta le affluenze, gli alberghi sistemano le stanze, la città riscopre la Darsena e la Pietà Rondanini, Salvatore Veca e Marco Ponti, dalle pagine di ArcipelagoMilano, hanno avuto la grazia di affrontare il problema della nutrizione del pianeta. Una questione irrisolta che ci accompagnerà per molto tempo anche dopo la parentesi dell’Expo. L’impressione è che si sia giunti sulla soglia del fenomeno dell’epoca e forse per questo le spade dei nostri due campioni s’incrociano ancora, più che sul merito, sulla scelta del campo e delle regole del confronto.

02rinolfi20FBDa un lato, Marco Ponti invita a entrare direttamente nel merito delle questioni convinto che la drammaticità dei problemi impongano una diagnosi delle cause e la definizione di scelte nette, obiettivi quantificabili, tempi e responsabilità definite. A sostegno di questa posizione vi è un’analisi del fenomeno da cui traspira una profonda fiducia nella forza in una tecnologia capace di vincere il fenomeno attraverso l’industrializzazione dell’agricoltura e l’urbanizzazione dei popoli. All’esplicito invito di imbracciare queste armi e contrastare le posizioni anti OGM si somma poi la denuncia degli effetti negativi che hanno gli incentivi e i prezzi a protezione degli agricoltori nei paesi più sviluppati.

La discesa in campo di Salvatore Veca è più soffice ma non meno efficace, a suo avviso è, infatti, indispensabile percorrere la via delle “assunzioni deboli e condivise per includere e non escludere ex ante, e per aprire lo spazio alla critica, all’innovazione, alle visioni e alle pratiche alternative”, il fine è di rivolgersi alle moltitudini di cittadini convenuti all’Expo. In questo caso non s’intendono tanto sollevare i problemi politici del momento che rischierebbero di dividere le Nazioni e le forze economiche e sociali. L’invito è quello elegante e nobile di consolidare le basi di una consapevolezza culturale che si vuole il più possibile inclusiva anche degli opposti. La natura complessa del problema oltre che il ruolo svolto dalla Fondazione Feltrinelli e l’occasione di Expo hanno spinto dunque a preferire un approccio culturalmente aperto a molte scelte. Lo specifico sviluppo dei temi è del resto demandato a quattro percorsi culturali che rispondono alle aree accademiche dello sviluppo sostenibile, dell’agricoltura e alimentazione, dell’antropologia e della sociologia urbana.

Sono due approcci di tutto rispetto la cui emersione in pubblico aiuta a disincagliare il dibattito dagli ambiti accademici e dai convegni per i soli esperti. Già in preparazione dell’Expo illustri personaggi come Prodi, Veronesi e Pisapia affrontavano il problema dalle pagine del Corriere concordando sul suo carattere essenzialmente politico – economico e avvertendo l’opinione pubblica sul pericolo che potesse diventare dirompente per la sicurezza dei popoli e del pianeta. Difficile non concordare con tutti loro ma, come evitare la trappola delle inutili esortazioni di principio su cosa si “dovrebbe fare”?

Quando la politica, il mercato e le comunità accademiche non ce la fanno, di solito la tecnologia s’incarica di risolvere comunque i problemi. In questo caso però le cose non sono così semplici e non si può semplicemente stare a guardare il procedere della valanga tecnologica. Anche lo spirito sinceramente devoto al culto laico della ricerca scientifica che anima Mondohonline ha dovuto costatare che la soluzione non è legata alla sola sfera della tecnologia e che anzi il suo utilizzo in chiave esclusivamente produttivo scatena gravi retroazioni negative sull’ambiente e le popolazioni.

Per superare questa impasse generale può essere utile portare l’attenzione sul fatto che il sistema in cui viviamo sta generando in continuazione gli handicap della nutrizione, esattamente come produce in continuazione l’inquinamento ambientale e le guerre per le risorse. Sono tutti “sfoghi strutturali“ con i quali il sistema reagisce a un suo squilibrio di funzionamento.

Questi “sfoghi” indesiderati non solo non sono separati tra di loro ma derivano dall’autoesaltazione reciproca di tre generatori che animano l’eco-sistema e che già Gregory Bateson identificava nel Rapporto con la natura, nella Tecnologia e nella Demografia. Sono i tre pilastri della civiltà occidentale che gli antichi greci identificavano come Hybris, Tecno e Demo. Tre formidabili motori alle radici dell’occidente e presenti ormai quasi ovunque sul pianeta. Tre propulsori che operano come se avessero l’acceleratore sempre aperto per aumentare all’infinito i loro inarrestabili ritmi di produzione.

Anche un bimbo sa (direbbe Bateson) che se concepiamo la natura come un ente separato da aggredire e sfruttare nel più breve tempo possibile allora ci sentiamo autorizzati a impiegare la tecnologia in chiave più efficace e produttiva. I risultati sono immediati e alimentano la convinzione di poter far crescere all’infinito il benessere di una popolazione che si fa sempre numerosa e urbana.

Più si afferma questa catena di retroazioni circolari e più ai vantaggi immediati si accompagnano rischi d’instabilità e insicurezza per intere aree del pianeta a bassa sovranità, si complicano i metabolismi ambientali di megalopoli difficili da gestire, esplodono epidemie da sviluppo, si riducono le terre fertili necessarie per sostenere i nuovi miliardi di umani e continuare a produrre gli attuali 800 milioni di denutriti e il corrispettivo di obesi.

Il portale sul futuro da aprire ha dimensioni impressionanti e le catene che lo bloccano sono molto profonde. Veca ha ragione a non voler compiere scelte di campo molto nette, non solo per ossequio ai doveri di ospitalità dei differenti interessi presenti in Expo, ma perché non esiste una semplice causa prima cui attribuire l’origine degli handicap della nutrizione. Ponti ha altrettanta ragione quando invita tutti, a essere più coraggiosamente incisivi e a non rendere generico e inutile anche quest’unico momento d’incontro universale.

Entrambi sono animati da buone intenzioni e vien da chiedere al filosofo come sia possibile evolvere la nostra Hybris senza ricorrere all’animismo o alla demagogia e al tecnologo come si può concepire un processo d’innovazione di sistema vivente capace di includere la rigenerazione dei metabolismi e delle risorse ambientali e sociali in trasformazione.

La loro scienza andrebbe molto probabilmente integrata almeno con quella più legata ai processi di un’economia più in sintonia coi vincoli delle risorse ma ne trarrebbero giovamento quei cittadini che guardano all’Expo pensando al loro futuro e si farebbe contenta anche quella Physis cui tutti apparteniamo.

 

Carlo Alberto Rinolfi

Mondohonline



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