19 maggio 2015

OPERE D’ARTE E CITTÀ: LA PIETÀ RONDANINI


Sul problema della nuova collocazione della Pietà Rondanini il dibattito è ancora aperto. Dopo altre voci, tutte autorevoli, oggi pubblichiamo un intervento dell’architetto Augusto Rossari, per continuare sulla linea editoriale del nostro giornale che vuole anche essere una piattaforma di discussione. Gli interventi, oltre a quelli ospitati da noi, di volta in volta hanno preso in esame i tre aspetti fondamentali della questione: se sia opportuno ricollocare un’opera tanto importante del patrimonio artistico e culturale di Milano, se sia giusto intervenire sottraendo quest’opera a un percorso museale storico per la città e frutto dell’attività di uno dei più importanti studi di architettura milanesi della seconda metà del secolo scorso e infine se l’attuale collocazione per luogo e per allestimento siano o meno criticabili.

01editoriale19FBDare una risposta unitaria ai tre quesiti equivale a costruire un bilancio ragionato, affrontando questioni di estrema delicatezza e mettere in gioco, per chi abbia a cuore la questione, oltre che cultura anche sentimenti, storie personali e, ma non ultimo, questioni generazionali: lo dico principalmente per me che ho conosciuto e conosco tutti o quasi gli attori di questa vicenda.

Sull’opportunità di una ricollocazione non avrei dubbi perché sono un sostenitore dell’idea che rendere un’opera d’arte visibile al maggior numero di persone è un obiettivo da perseguire anche se sul come farlo ci possono essere molte obiezioni, perplessità e molti dubbi. A mio parere è difficile che queste obiezioni siano di tale portata da dover prevalere: l’unica vera e incontestabile obiezione sono gli eventuali danni all’opera stessa. Esiste sempre, ma non la condivido, l’idea che oggi la fruizione dei musei e comunque dei beni artistici non si debba valutare semplicemente in base al numero di persone cha hanno avuto la possibilità di ammirarle. Dire, per esempio, che si tratta di scolaresche distratte e intente a giocare col telefonino o comitive di giapponesi (e non solo loro) che abbandonata la Nikon oggi si dedicano al selfie, è un argomento sciocco: tra gli scolari ce ne saranno alcuni che ricorderanno e questo mi basta, gli altri li mettiamo in bilancio alle entrate turistiche. Da quando la Pietà è stata ricollocata il totale delle visite dal 2 al 17 maggio è stato di 39.780 persone. I numeri parlano da soli e aggiungiamo che oggi la Pietà la possono vedere anche i disabili.

La sottrazione di un’opera a un museo per ricollocarla è comunque un argomento delicato, soprattutto se si tratta di una scultura di grandi dimensioni: non è come staccare un quadro dal chiodo lasciando un segno sul muro, appiccicandoci al suo posto una targhetta con l’indicazione di un prestito o al rinvio ad altra parte del museo, dove attorno a quell’opera si è costruito un “evento”. Queste ricollocazioni “interne” sono una prassi seguita da moltissimi musei in tutto il mondo: un nuovo e provvisorio allestimento di una delle grandi opere possedute, con l’intento appunto di creare un evento che riaccenda l’attenzione sul museo stesso, coinvolgendo magari uno sponsor. Potrebbe anche essere questa una lettura da dare alla vicenda della Pietà Rondanini ma con la contraddizione di riportarla sì nella sua sede storica ma riproponendo il problema della sua scarsa visibilità da parte di un pubblico numeroso.

Nel caso della Pietà Rondanini c’è un elemento di ulteriore delicatezza: l’allestimento e la conservazione della sala nella quale era esposta la Pietà, opera dello studio BBPR (Banfi, Belgiojoso, Peressutti e Rogers). L’allestimento era indubbiamente un’interpretazione della Pietà che andava ben di là dalla semplice corretta esposizione al pubblico: era entrato in gioco il rapporto personale e la sensibilità creativa degli architetti BBPR, non di uno solo di loro ma di una loro anima collettiva. Mi piace ricordare quest’aspetto nell’era delle “archistar”, sole nel firmamento, spesso monotone e monocordi.

Si mette in gioco allora il concetto di musealizzazione di un museo che porta a qualche provvisoria considerazione: si deve musealizzare a mio avviso un museo quando tra la maggior parte delle opere esposte esiste un legame interpretativo che qui, direi, si è creato per una sola opera: la Pietà e i BBPR. Questo comunque non vuol dire che l’opera del BBPR debba essere cancellata prima di esaminare fino in fondo i possibili attuali utilizzi.

Resta comunque aperta oggi la discussione sull’attuale sistemazione ad opera di Michele De Lucchi. Molto da dire, difficilmente riassumibile in poche battute, ne faccio una sola: tra la Pietà e Michele de Lucchi non c’è empatia. Lo si sente.

 

Luca Beltrami Gadola



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