19 maggio 2015

CONSIGLIO METROPOLITANO: 24 PERSONAGGI IN CERCA D’AUTORE


Riescono a quadruplicare il dramma pirandelliano. Sono i ventiquattro eletti in secondo grado inviati sul palcoscenico di Palazzo Isimbardi a recitare a soggetto; più il capocomico unico e monocratico sebbene costretto, per effettivo eccesso di impegni ed evidente difetto di interesse, a delegare sia funzioni rappresentative (vice-sindaco metropolitano) che esecutive (consiglieri delegati). Così si raffigura l’entrata in scena della “città metropolitana” milanese, esordio problematico e ricerca psicologico – cognitiva della inedita entità istituzionale. Spenti i primi brillanti entusiasmi “costituenti”, esaltati nella fase di stesura dello Statuto, resta ora da affrontare un’incerta realtà, come si evince dalle poche ma istruttive sedute dell’omonimo Consiglio.

08ballabio19FBEletti dalla platea dei consiglieri comunali dell’ex provincia, con voto pesato e centellinato sulla base di quattro Liste, si sono tuttavia subito divisi in otto Gruppi consiliari, secondo le più scontate appartenenze partitiche, e tuttavia a ogni seduta ripropongono il dilemma: esiste una maggioranza e una minoranza? Siamo un’assemblea rappresentativa, che dunque si divida tra uno schieramento di governo e uno di opposizione, oppure questi concetti sono superati tanto è vero che non serve più una Giunta distinta dall’Assemblea, vetusta palestra di conflitti ideologici e politici? Persino la banale e da sempre scontata nomina degli scrutatori per le normali votazioni suscita discussione: uno su tre deve essere riservato alla minoranza ma come fare se il Sindaco metropolitano è di diritto e dunque la maggioranza non è si è mai ufficializzata? Due parti in commedia!

Prigionieri di una legge estemporanea (ma, in assenza di iniziativa critica, dura lex sed lex) i nostri massimi rappresentanti metropolitani si dibattono tra adempimenti e scadenze burocratiche, sotto stretta sorveglianza dei funzionari dell’ex provincia, e l’evasione in fantastici “libri dei sogni”, quale il Piano strategico triennale da commissionare a pur qualificate strutture tecnico-scientifiche chiamate a un improprio ruolo di supplenza, come già era accaduto per la stesura dello Statuto. Ma qui scatta l’autoanalisi: chi siamo e chi rappresentiamo? Il Comune dove siamo stati eletti dai cittadini e che (poco o tanto) ci retribuisce, o l’ente che dobbiamo reggere a tempo perso e a titolo gratuito, per di più in potenziale conflitto di interesse? E fino a quando andrà avanti tale ibrida e incerta “fase transitoria”?

Emerge allora lo scarto tra il copione e la cruda realtà. Con quali funzioni e poteri, e intanto con quali risorse? Tralasciando per ora quest’ultimo aspetto – tasto dolente riguardante tutta la finanza locale nonché quella pubblica nel suo insieme – proviamo a immedesimarci nel ruolo potenziale di un’entità metropolitana schiacciata tra la Regione da un lato e i Comuni, a cominciare dal capoluogo, dall’altro. In particolare quest’ultimo che, unico gigante attorniato da 133 nani, prosegue imperterrito nelle sue scelte, precipuamente nelle materie attinenti la “vasta area”. Basti citare alcuni titoli: il piano di governo del territorio, la gestione delle case popolari, il piano della mobilità, la delibera sul decentramento (con scelta unilaterale sulla natura delle municipalità*), l’aggiornamento del “piano d’ambito” del servizio idrico integrato.

Su quest’ultimo punto basti richiamare che il Consiglio comunale di Milano, ancora a febbraio 2015, approva il piano del proprio ATO (ambito territoriale “ottimale” di gestione, che in realtà sta all’ATO metropolitano come il buco sta alla ciambella) il cui aggiornamento indica investimenti per 900 milioni fino al 2037. Contemporaneamente approva un ordine del giorno che prevede si “un unico Ambito territoriale ottimale coincidente con la Città Metropolitana, in superamento dell’attuale modello di governance” ma (adelante Pedro con juicio!) “all’interno di una gestione transitoria (sino al ’37? n.d.r.) che preveda il mantenimento degli affidamenti di gestione attuali” nonché dei “piani finanziari assunti dai gestori esistenti”.

Si rivela pertanto che la Città Metropolitana non ha purtroppo reale probabilità di crescita e vita autonoma, quanto meno non a Milano e non in Italia, che anche in questo decisivo snodo si piazza ancora una volta tra gli ultimi enne-posti nelle classifiche europee. Per altro il quarto di secolo perduto (dal 1990!) ha comportato anche la perdita di conoscenze e competenze, considerate sempre un elemento di disturbo per le rendite di posizione acquisite del ceto politico-amministrativo in carica. Riformatori non si nasce né si diventa senza adeguata elaborazione ed esperienza: sovviene allora la finzione scenica e l’attitudine all’improvvisazione.

 

Valentino Ballabio

 

(*) Vedi “La grande Milano e tre piccoli punti …” (ArcipelagoMilano, 15/4/15)

 

 

 

 



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