19 maggio 2015

MILANO 2032, LA CITTÀ VECCHIA SALVATA DAGLI STRANIERI


Non ci sarà stata l’invasione, come teme Matteo Salvini. Le strade di Milano saranno popolate da anziani (più di ora) e stranieri. È il 2032: ogni tanto scoppierà qualche tensione nei quartieri più popolari, ma nessuno scenario alla Houellebecq. Molti egiziani, molti cinesi. Ma soprattutto molti filippini. Tutti mescolati tra loro (ma non tanto), faranno professioni diverse. Non ci sarà l’assalto ai quartieri centrali, ma un semplice trasferimento dalla periferia. Girerà qualche americano in più e tutti, anche i residenti, parleranno bene l’inglese. Expo, allora, sarà un ricordo, forse usato come paragone per gli slogan elettorali. Evocato per raccontare (speriamo) la fine degli anni della crisi. O il suo inizio.

09ronzoni19FBIn ogni caso, in quegli anni il volto della città, spiega Gian Carlo Blangiardo, ordinario di demografia presso l’Università Bicocca di Milano, «Non sarà molto diverso da come è oggi». Lo confermano i numeri delle previsioni demografiche elaborate dal Comune di Milano. La popolazione dei milanesi crescerà, soprattutto per l’afflusso degli stranieri, ma poco. La composizione resterà costante, ci saranno modifiche, ma non radicali.

Intorno a una popolazione milanese che invecchierà piano, «ci sarà un aumento degli stranieri», ma nessun assedio. Secondo le stime, si passerà dagli attuali 220mila a 530mila. Saranno immigrati e figli di immigrati, provenienti anche da altre parti d’Italia. La composizione sarà variegata, ma non andrà a coinvolgere nazionalità che non sono già presenti in modo significativo sul territorio milanese. Cresceranno molto, secondo le previsioni, i filippini: da 37mila a 84mila unità, seguiti dagli egiziani, che da 26mila diventeranno oltre 70mila. «Sono le due presenze straniere “storiche” a Milano», spiega Blangiardo.

«Per quanto riguarda i filippini, quello di Milano è un caso eccezionale. Unico nel Paese e anche in Lombardia. Negli altri centri prevalgono nazionalità di altro tipo». La convergenza su Milano è dovuta «al mestiere che svolgono: in prevalenza si occupano della cura della casa, e a Milano la richiesta di donne di servizio è più alta che altrove. Oltre a ciò si sono sempre più specializzati nel campo dei servizi per la persona. Non solo cura della casa, ma anche badantato». E c’è da ritenere che, viste le previsioni di invecchiamento del Paese, la loro presenza non potrà che essere maggiore.

«Gli egiziani, invece, lavorano nel campo dei servizi e della ristorazione – si badi, però: la maggioranza degli egiziani milanesi sono di religione copta, cioè cristiana. Non musulmana». E questo lascia pensare che il numero dei kebabbari aumenterà nel tempo o, come è più probabile, diventerà un servizio sempre più variegato e complesso.

Anche le altre nazionalità cresceranno: i peruviani, da 20mila scarsi diventeranno 48mila. Stesso trend per gli ecuadoregni, che passano da 13mila a 32mila. I cinesi da 23mila diventeranno 57mila. Questi ultimi – sostiene Blangiardo – saranno gli unici a mantenere una certa autonomia rispetto al resto della città. «Autonomia identitaria, intendo. Dal punto di vista commerciale saranno molto integrati, lo sono già ora».

Il punto è proprio qui: l’integrazione. Ci sarà? Avverrà davvero? «L’integrazione, quella concreta, avviene solo in un modo: con il tempo». Serve «che ci sia una permanenza nell’area per adottare gli usi, i modi di fare e di pensare. Per diventare milanesi». Anche la realtà lavorativa sarà differente: con il tempo, e con le nuove generazioni di milanesi, per gli stranieri ci sarà un miglioramento delle situazioni reddituali. Si sposterà verso il centro (si presume), e svolgeranno lavori e mestieri più sofisticati e intellettuali rispetto a quanto avviene ora. Ci sarà, insomma, una forma moderata di rimescolamento sociale.

Milano, però, sarà molto più complicata. …. Per continuare a leggere l’articolo su LINKIESTA clicca qui

 

Dario Ronzoni



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