13 maggio 2015

LE AREE EXPO NON SONO UNA MARGHERITA DA SFOGLIARE


L’ultimo intervento sul Corriere della Sera di lunedì scorso riguardo al futuro destino delle aree di Expo è quello Giovanni Azzone e Alessandro Balducci, rispettivamente rettore e prorettore del Politecnico di Milano. Immagino che con loro non si chiuderà la serie delle proposte e forse, proprio per questo, sono opportune alcune riflessioni sul modo di procedere nel prendere decisioni di questa portata anche da parte del Governo, le cui scelte dovranno comunque avere una solida base metodologica per essere credibili anche ad evitare estemporanee uscite del di Maroni che non ha ancora capito che il semplice possesso maggioritario di un’area (pubblica) non te ne fa il dominus assoluto.

01editoriale18FBUna prima riflessione riguarda un fatto emblematico: l’Avviso di manifestazione d’interesse finalizzata all’affidamento dell’incarico di sviluppo di metodologie di analisi e valutazione delle potenzialità del sito expo post evento, avviso col quale Arexpo invita i soggetti interessati a candidarsi per offrirle indicazioni e suggerimenti sul destino delle aree rispetto alle quali non sembra nutrire alcun pensiero autonomo. Nell’Avviso, di conseguenza, pur dilungandosi come sempre nelle procedure del genere in precisazioni e definizioni sul chi e sul come si possa partecipare al bando, non dà invece alcuna indicazione sullo stato di fatto delle aree al momento della loro nuova utilizzazione, non solo ma non indica in alcun modo quale sarà lo stato giuridico delle stesse visto che la società Arexpo ha parecchi debiti generati dall’acquisto delle aree: questo normalmente comporta una qualche garanzia offerta ai creditori, magari con un privilegio sulle aree o una garanzia di terzi alla quale far fronte, garanzia che avrà termini e condizioni.

Non si sfiora nemmeno il problema dei padiglioni che resteranno sull’area, quali e con che logica in modo che chiunque faccia una proposta non possa ignorare quest’aspetto, come non possa ignorare cosa resterà delle infrastrutture fisiche, di sottoservizi e informatiche delle quali è stato dotato il sito ma soprattutto chi deciderà in merito, viste anche le regole dettate dal BIE. Su Arexpo come decisore finale della partita poi, ancorché proprietario delle aree, nutro forti dubbi perché le sue scelte sono assolutamente vincolate a quelle di altri soggetti istituzionali e la decisione di pubblicare l’Avviso, del quale abbiamo accennato all’inizio, sembra principalmente dettata dal desiderio di prendere tempo oltre che una manifestazione di inesistenza di visione che comunque porta a delegare ad altri le proprie scelte. Siamo di fronte alla classica strategia di chi non sa decidere, anche se sarebbe invece suo compito il farlo.

Una perplessità poi ancora maggiore nasce dalle dichiarazioni di Maurizio Martina, Ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, con delega ad Expo, quando anche recentemente ribadisce il suo pensiero: “Valuteremo se partecipare al capitale della società Arexpo, magari con un intervento della Cassa depositi e Prestiti, quando conosceremo le proposte in merito alla destinazione delle aree”.

Ritengo che la delega a Expo si limiti alla gestione dell’evento e non certo al successivo destino delle aree, anche se qualche traccia del passaggio di Expo e del suo tema possa restare, magari sotto forma di centro di ricerca e sperimentazione agricola. Une destinazione assolutamente marginale rispetto al tutto. Allora chi deve decidere e di concerto con chi?

Probabilmente il Ministero dello Sviluppo Economico (MiSE) con il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR). Questi, politicamente, sono i dicasteri che dovrebbero avere competenze sul destino delle aree e sugli investimenti necessari a una qualsivoglia loro utilizzazione a meno che non si lasci decidere il tutto a livello regionale o, scendendo, al livello di città metropolitana ma sarebbe estremamente riduttivo perché questa è un’operazione che riguarda la politica economica del Paese.

A qualunque livello ci si riferisca, vanno tenuti ben presenti due obbiettivi di grande rilievo e di assoluta attualità: il problema della disoccupazione, in particolare quella giovanile, e la necessità di muoversi in un contesto europeo.

Nel primo caso – la disoccupazione – non possiamo avviare progetti che diano risultati troppo lontani nel tempo perché il problema non ammette più tempi di attesa, anche se quest’accelerazione dovesse obbligare a scelte di portata più modesta. Nel secondo caso il contesto europeo ci obbliga a navigare nello stesso fiume (Ricerca & Sviluppo) del resto dei paesi europei e confrontandoci con loro per non subire l’ennesima emarginazione.

Per finire, qualunque decisione si prenda, deve confrontarsi con il territorio e le sue istituzioni, Regione e Città metropolitana: nessuna scelta può essere fatta senza un’ampia discussione e condivisione da parte dei cittadini.

Il pensiero, al di là dell’utopia, sarebbe di poter vedere al più preso tracciata una road map che, partendo inesorabilmente da gravi errori iniziali – la scelta di quelle aree per l’Expo fatta dal duo Moratti Formigoni – ci porti a un loro utilizzo utile per il Paese e per le collettività locali: la definizione di un percorso critico tra poteri decisionali, competenze, vincoli legislativi, investimenti pubblici e privati nei quali tutti gli attori abbiano compiti ben definiti – con le relative responsabilità – e tempi di attuazione ragionevolmente certi e controllabili cammin facendo.

Non si tratta di sfogliare una margherita come si è fatto sinora.

Luca Beltrami Gadola



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