13 maggio 2015

LA CARTA DI MILANO E I SUOI CRITICI


L’eloquente articolo di Marco Ponti sulla Carta di Milano merita un’attenta considerazione. Ponti è convinto che le questioni e le indicazioni contenute nella Carta siano irrilevanti e che le uniche questioni rilevanti siano quelle assenti. L’irrilevanza dei contenuti della Carta è esemplificata, secondo Ponti, dalla natura lapalissiana dei suoi enunciati, a partire dall’assunzione relativa al diritto al cibo inteso come diritto umano fondamentale. Sono convinto che l’assunzione relativa al diritto al cibo sia sfortunatamente ben lungi dall’essere lapalissiana e mi auguro che il difficile lavoro in cui è impegnata Livia Pomodoro con il suo Centro per il diritto al cibo consegua i risultati normativi auspicati in sede internazionale. Asserire o ascrivere un diritto non equivale a renderlo esigibile in modo cogente.

02veca18FBMa non è di questo che mi interessa discutere a proposito delle tesi di Marco Ponti sull’irrilevanza dei contenuti della Carta. Vorrei difendere la rilevanza della Carta proprio muovendo dall’ipotesi che i suoi contenuti siano lapalissiani. Mostrerò in che senso Jacques de la Palice non è vissuto invano. La Carta di Milano è l’esito di un processo di elaborazione, cui hanno partecipato un gran numero di istituzioni, centri e agenzie, che ha avuto come scopo principale quello di predisporre un documento di cittadinanza globale che prevede e chiede assunzioni di responsabilità nei confronti del tema di Expo 2015, “Nutrire il pianeta. Energia per la vita”.

È una proposta rivolta ai cittadini e alle cittadine del mondo che possono sottoscriverla esercitando la voice, per dirla con Albert Hirschman. Non è un protocollo intergovernativo, né un’agenda di policies. Questo rende conto del fatto elementare che mancano nella Carta “quantificazioni” o “priorità”, come osserva Ponti. E rende anche conto del fatto che espressioni come “difesa del suolo”, ” difesa del reddito degli agricoltori” e “uso di fonti energetiche pulite” siano inevitabilmente vaghe ed esposte a interpretazioni controverse, come sottolinea Ponti (solo il suo riferimento ironico ai pescatori che distruggono la fauna ittica è infelice, dato che nella Carta è lapalissianamente definito inaccettabile che “più del 30% del pescato soggetto al commercio sia sfruttato oltre la sua capacità di rigenerazione”).

In parole povere, la Carta mira a mettere a fuoco le nostre responsabilità elementari per delineare un futuro sostenibile e più equo. Ecco perché il nostro Jacques de la Palice è all’opera: proprio perché proposte e misure e provvedimenti alternativi siano messi al centro della discussione pubblica e del confronto globale delle idee e delle pratiche. Marco Ponti ce ne dà un ottimo esempio nella sua risoluta critica dell’agricoltura tradizionale e nella sua difesa, senza se e senza ma, degli OGM. Ma ciò è sorprendentemente una prova della rilevanza della Carta.

Rilevante è ciò che ha qualche effetto in un contesto dato. E si ha effetto di contesto, e quindi rilevanza, quando in un contesto si dà interazione fra vecchia e nuova informazione e ciò produce un effetto moltiplicatore di conoscenze e prospettive. Conoscenze e prospettive dissonanti e differenti, anche confliggenti, com’è naturale quando siamo di fronte a sfide e dilemmi tanto ineludibili quanto difficili e quando siano in gioco questioni che attraversano i confini, assumendo profili diversi in contesti diversi, come lo stesso Ponti riconosce e come mostrano – inter alia – gli esiti dei quattro percorsi di ricerca di Laboratorio Expo, cui sono molto affezionato.

L’idea base della Carta si può formulare allora così: muoviamo da assunzioni deboli e condivise per includere e non escludere ex ante, e per aprire lo spazio alla critica, all’innovazione, alle visioni e alle pratiche alternative. Con una precisazione: nella sua versione attuale la Carta è corredata da una vasta gamma di allegati. Si tratta dei rapporti, degli esiti di ricerca e dei contributi che ne hanno accompagnato il percorso sino alla sua presentazione pubblica il 28 aprile scorso all’Università degli Studi di Milano. Ora, durante tutto il semestre di Expo, la Carta è aperta a nuovi contributi, a nuove proposte, a ulteriori approfondimenti. Ed è in questa nuova veste che la Carta di Milano sarà consegnata in ottobre al segretario generale delle Nazioni Unite. Come dire: ce n’est qu’un début.

E questa è la mia modesta proposta, non sorprendentemente lapalissiana: che contributi del tipo di quello abbozzato nell’articolo di Marco Ponti aggiungano un bel po’ di tessere al mosaico di un futuro sostenibile, al cui centro vi sia il diritto umano fondamentale al cibo per chiunque, ovunque. Nella gran città del genere umano.

 

Salvatore Veca



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