13 maggio 2015

RESTITUIRE SIGNIFICATO AL PERCHÉ DELLA TASSAZIONE IMMOBILIARE


Numerosi e fantasiosi sono gli acronimi di nuove tasse, o forse di vecchie tasse con nomi nuovi, che si sono affollate, dettate dalle esigenze di gettito, e spiegate in maniera sommaria: IMU, ICI, ISI, TARSU, TARI, certo ne sfugge qualcuna; e attualmente si parla di Local Tax come occasione di maggiore trasparenza fiscale, ma è forte il timore che possa essere soltanto “una bella rimescolata di carte utile per confondere le acque” (Achille Colombo Clerici, presidente di Assoedilizia), preludio di un nuovo aggravio fiscale.

07bonomi18FBCresce l’incomprensibilità del sistema impositivo, forse perché è venuta meno la correlazione chiara tra il significato delle parole usate nelle norme fiscali e il contenuto dei provvedimenti stessi. Ciò appare dovuto a una serie di motivi concomitanti quali un impianto normativo basato su presupposti sorpassati in una realtà in profondo rinnovamento (es. le rendite catastali), al ricorso a logiche di emergenza, a una certa improvvisazione e confusione normativa forse voluta per nascondere la crescita della pressione fiscale sottraendo amministratori e politici all’onere di rendere conto delle scelte. Sarebbe quindi urgente la cosiddetta “revisione del presupposto impositivo”, e il varo della “local tax” potrebbe essere un buon passo in direzione della trasparenza se i legislatori a livello centrale e locale (la tassazione è prevalentemente centrale, le tariffe sono locali) si impegnassero a spiegare bene il perché della tassazione separandolo dal quanto e dal come.

Si può provare una schematizzazione del perché del carico fiscale sugli immobili (senza la presunzione di essere esperti della materia) pensando che esso sia connesso a possesso, uso e costruzione.

La tassazione di un immobile posseduto può essere sul valore o sul reddito, ed è possibile sostenere che quella sul valore, tipicamente di tipo patrimoniale, sia il criterio contributivo più trasparente e coerente con il principio di proporzionalità della tassazione (art. 53 della Costituzione) oltre che quello più diffuso nei paesi evoluti; anche l’imposta di registro ha una funzione di tassazione del valore e quindi del patrimonio, ma questo tipo di tassazione, attraverso il famigerato reddito catastale (che peraltro speriamo di non dover rimpiangere nei prossimi anni) ha effetti impropri e iniqui proprio nella definizione del quanto.

La tassazione sull’uso è quella che forse disorienta e irrita di più i contribuenti, e ciò è probabilmente dovuto all’abitudine di usufruire di servizi sostanzialmente a carico degli Enti Locali (es. i trasporti), in buona parte coperti da trasferimenti dello Stato e attinti dalla tassazione generale riscossa, in una partita di giro. Ora, vuoi per la scelta politica del decentramento, vuoi per sopravvenute vacche magre, i contribuenti sono messi di fronte a un impennata della tassazione locale che in buona misura è funzione dell’uso. Ma il risultato non appare affatto a parità di saldo, e forte è il sospetto che nell’impennata della tassazione sull’uso si cerchi nascondere componente – impropria e iniqua – sul possesso, forse proprio grazie all’opacità del suo perché. Grazie alla TARSU (e ai conteggi che tutti abbiamo fatto su quote condominiali, vicini single o famiglie numerose, etc.) abbiamo cominciato a conoscere la tariffazione dei servizi, ma continua a esserci una zona grigia di generici costi indivisibili (es. l’illuminazione stradale, la manutenzione del verde etc.) che alimenta il sospetto all’interno si nascondano spese di gestione dell’apparato burocratico, investimenti e migliorie, o altre voci improprie, rendendo così impossibile valutare l’efficienza, l’efficacia e la correttezza dell’azione amministrativa.

Discorso a parte quello dell’IVA, che per la sua natura è una sorta di “extraover” neutro e rientra nella categoria del quanto.

Un capitolo più specialistico (perché non impatta direttamente sul cittadino) è quello sulla tassazione sui lavori di costruzione/ristrutturazione. Oggi sopravvivono oneri di urbanizzazione (primaria, secondaria, straordinaria) e contributi sul costo di costruzione secondo una logica nata negli anni sessanta a contenimento delle dinamiche di ricostruzione post-bellica. Nel frattempo è cambiato tutto: non si urbanizzano più aree verdi, il focus è sulla trasformazione dell’esistente. Non ha più senso mantenere come riferimento determinati metri cubi a persona insediata che generano metri quadrati di parcheggi e verde, di asili e ambulatori; anche i costi di costruzione sono oggi strutturalmente diversi, e molti costi hanno valenze sociali e ambientali (tra l’altro oggetto di decontribuzioni o di sovvenzioni che danno dopo aver tolto o viceversa).

Quanto sia inadeguato (e fuorviante) tale impianto lo provano le norme permissive e portatrici di confusione amministrativa che consentono alle stesse Amministrazioni Locali di deviare il 50% o addirittura il 75% di tali proventi a copertura della spesa corrente, cancellando così qualsiasi collegamento logico con il loro perché.

La sostituzione del nome potrebbe essere uno stimolo concettuale: invece di oneri di urbanizzazione si potrebbe ricorrere al concetto di contributo di trasformazione, da cui poi derivare un metodo: il territorio oggi non viene più urbanizzato ma trasformato, e i processi di trasformazione sono molto più ricchi e sfaccettati, con impatti diversissimi (in alcuni casi possono essere addirittura “creditori” di contributi). Sistematizzando il concetto di trasformazione urbana si può quindi associare al tipo di trasformazione un coerente e proporzionato carico di oneri.

Ragionare sul quanto della tassazione immobiliare (se sia eccessivo o meno in assoluto, se sia equilibrato rispetto alla tassazione di altre forme di ricchezza) sarebbe complesso, velleitario, e fuori luogo andando ben oltre i limiti di questa riflessione; vale solo la pena di sottolineare che se il quanto viene correlato a un perché chiaro, una tassa può essere relativamente facile da calcolare e soprattutto più accettabile (se ragionevole) da parte del contribuente. Infine, se si è chiarito il perché e il quanto, si può ritenere che il come non debba essere difficile da ridisegnare, possibilmente all’insegna della trasparenza.

Forse questa riflessione può riuscire a convincere chi legge dell’importanza di restituire coerenza tra parola e significato, ossia tra definizione di una tassa (o imposta), la sua motivazione e il suo scopo: può sembrare un obiettivo banale, ma senza una chiarezza concettuale prodromica della trasparenza difficilmente si può ottenere una buona Amministrazione Pubblica.

 

Giuseppe Bonomi



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