6 maggio 2015

LA CARTA DI MILANO: QUEL CHE C’È NON INTERESSA E QUEL CHE INTERESSA NON C’È


Parto davvero laborioso, il “manifesto” di Expo per nutrire il pianeta: sei mesi di lavoro, con moltissimi esperti. Chi scrive come economista ha avuto a che fare “sul campo” per 13 anni con problemi reali correlati al tema, se pur indirettamente, e, come forse molti altri, non può non rimanere del tutto sconcertato alla lettura del documento ufficiale (una decina di pagine di punti, tra constatazioni, impegni, raccomandazioni). I punti in cui si articola la Carta di Milano in effetti sono assai numerosi: ci limiteremo ai 10 sintetizzati da La Repubblica il 29 aprile a pag. 24.

03ponti17FBAlcuni sono davvero lapalissiani: chi al mondo potrebbe essere contrario alla disponibilità di cibo sano e sufficiente, sempre e per tutti? Chi non condividerebbe la lotta allo spreco, o alle frodi, o al lavoro minorile, o alla dotazione di fondi per la ricerca, o ad aumentare l’educazione a un consumo corretto? Non valgono considerazioni identiche per qualsiasi settore produttivo e per qualsiasi servizio sociale (la casa, la sanità, il lavoro, l’istruzione ecc.)? Qual è il valore aggiunto “milanese” a simili sconcertanti ovvietà? Forse perche questa volta sono riferite al cibo? Nulla è quantificato, nessuna priorità settoriale viene definita (priorità che sono i veri oggetti delle scelte politiche). La conservazione della biodiversità è un punto vagamente più specifico per il settore, ma, di nuovo, chi può non dichiararsi d’accordo, in questi termini del tutto generici?

Difesa del suolo“, difesa del reddito degli agricoltori, uso di fonti energetiche pulite”: questi tre ultimi punti si prestano, al contrario degli altri, a interpretazioni controverse, quindi affermarli in modo del tutto generico, lascia spazio a interpretazioni assai più ideologiche dei precedenti.

Difesa del suolo“: se inteso all’italiana, o all’europea, cioè come difesa a oltranza dei vincoli all’edificazione per difendere colture agricole iper-sussidiate e inquinanti ignora per esempio tutto il dibattito sulla stretta relazione tra i costi eccessivi delle abitazioni per gli strati più poveri delle popolazioni e uso del suolo: l’Economist ha recentemente riassunto i termini mondiali della questione. Nulla su ciò emerge dalla Carta: se il suolo agricolo delle colture estensive fosse trasformato in parchi e prati, con residenze nel verde, sarebbe una tragedia?

Difesa del reddito degli agricoltori“: anche di quelli ricchi europei e americani? E perché i redditi di altre categorie di lavoratori non dovrebbero essere altrettanto difesi? E quelli di pescatori che distruggono la fauna ittica?

Uso di fonti energetiche pulite“. Cioè non di fonte fossile. Peccato che le fonti fossili costino molto meno di quelle rinnovabili, escluso il legno, il che comporta sia danni alle foreste, che emissioni domestiche micidiali per le categorie più povere (soprattutto per i bambini). E uno dei problemi centrali per combattere la fame è un accesso economico ai mercati di sbocco dei piccoli produttori agricoli: devono usare camion elettrici, o vecchi camion diesel poco costosi e molto inquinanti? La Carte in proposito sembra ignorare anche la posizione dei paesi poveri, che ritengono ipocriti e iniqui vincoli e raccomandazioni a loro, fatte dai paesi ricchi che più hanno contribuito in passato all’accumulo dei gas climalteranti.

Ma adesso veniamo ai temi che la Carta ignora del tutto, e che sono di gran lunga quelli più centrali e più scottanti per il problema. Non vi è alcuna diagnosi seria né sulla dinamica del fenomeno fame, né sulle sue cause e sulla sua localizzazione, che ha visto nell’ultimo cinquantennio, cioè grosso modo dall’inizio della globalizzazione dell’economia mondiale, dimezzarsi il numero degli affamati e sottonutriti, pur raddoppiando la popolazione del pianeta. E dove il fenomeno persiste maggiormente? Nelle nazioni, soprattutto africane, e nelle aree interne dell’Asia, meno esposte alla globalizzazione e all’urbanizzazione.

Sono le campagne arretrate, cioè il persistere dell’agricoltura tradizionale invocata a gran voce da Vandana Shiva sulla stessa Repubblica, che generano la fame, insieme ovviamente alla crescita demografica, tanto più alta e insostenibile quanto più l’agricoltura è arretrata. Infine, il problema maggiore non è la produzione assoluta di cibo, persino eccedentaria (si vedano per esempio i vincoli europei, con le “quote latte” ecc., il citato spreco di cibo, l’obesità, che ormai colpisce anche i paesi meno sviluppati), ma la distribuzione del cibo (il che non diminuisce la vergogna di avere ancora il fenomeno fame, tutt’al più la aumenta). Nessuna traccia di tutto ciò in questa “Magna Charta” (absit iniuria verbis).

Il secondo tema del tutto assente concerne gli OGM, di cui ci nutriamo da decenni senza conseguenze negative (e che della cui innocuità è convinta la maggior parte degli studiosi, come se non bastasse). Gli OGM hanno contribuito, nel quadro di un’intensa attività di ricerche scientifiche, agli spettacolari aumenti della produttività agricola, che ovviamente hanno consentito un calo storico dei prezzi per tutti i consumatori. Le ovvie impennate stagionali non smentiscono certo il trend, e sono recentemente anche dovute alla sciagurata politica americana di sussidio al mais come “fonte di energia rinnovabile”. E proprio negli OGM notoriamente sono riposte le maggiori speranze di progresso tecnico, che può portare a riduzioni ulteriori dei prezzi del cibo. Si noti per inciso che proprio il progresso tecnico nell’agricoltura inglese del ‘700 ha contribuito, con l’espulsione della manodopera agricola in eccesso e con la crescita del benessere e della disponibilità di capitali, al sorgere della rivoluzione industriale, certo da molti ambientalisti radicali aborrita.

Da ultimo è del tutto assente dalla Carta, e ben se ne capisce il perché, ogni accenno alla vera vergogna di paesi sviluppati: i sussidi ai propri agricoltori, le nuove “battaglie del grano” di mussoliniana memoria, un fiume di denaro pubblico che serve contemporaneamente tre nobili obiettivi, cui qui possiamo solo accennare, ma che i lettori della Carta nei paesi poveri capiranno benissimo, e immediatamente.

Tenere alti i prezzi dei beni alimentari per i consumatori dei paesi ricchi, impedire l’esportazione dei prodotti dei paesi poveri (anche con barriere doganali delle più fantasiose, se occorre, quando non bastano i sussidi), e infine sussidiare un’attività estremamente inquinante (tanto per intenderci, molto più dei trasporti). Ma sono tre obiettivi tanto “politically correct“….

Marco Ponti



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali




Ultimi commenti