6 maggio 2015

LEADERSHIP E GOVERNO DEMOCRATICO: UNA QUESTIONE APERTA


A seguito della rinuncia del nostro Sindaco, che sembra ispirata dal morettiano “Habemus papam“, i milanesi sono chiamati a sollecitare una leadership politica fortemente innovativa per governare la metropoli, capace di soddisfare le frammentate aspirazioni di partecipazione, grazie a forme democratiche più interattive. Questa necessità, comune alla generalità dei paesi dell’UE, è confortata dall’analisi che Michael Kenny e Nick Pearce fanno nell’articolo “Leadership politica in un’epoca di anti politica“*, di cui sottolineo alcune parti, che mi sembrano utili per la costruzione di un’agenda del nuovo sindaco.

06longhi17FBVerso una nuova arte di governo democratica. Le forze democratiche devono innovare il concetto di leadership, per affrontare l’era della post-democrazia di massa, soddisfare il desiderio di autogoverno della gente e trovare nuove espressioni e forme di sovranità che contrastino le spinte populiste. I politici, sia a livello locale che nazionale, dovranno comprendere e interiorizzare quattro grandi sfide perché si realizzi un nuovo modello di leadership.

1. Trovare un nuovo equilibrio tra la sensibilità della leadership (comprendere e rispondere ai cambiamenti delle aspettative e delle preferenze della gente) e l’esercizio di responsabilità nel governo, attraverso una rigorosa individuazione del possibile, e, se l’umore della gente è ostile, impegnarsi a sviluppare un nuovo consenso sociale sulle questioni che riguardano l’interesse comune. Il problema dell’immigrazione è emblematico della ricerca di questo equilibrio: sono alti sia l’ostilità pubblica all’immigrazione che il conflitto culturale, ma soffocare i flussi migratori non è né plausibile né auspicabile. I leader politici dovranno rispondere con fermezza agli imperativi democratici, mediando i conflitti culturali e le preoccupazioni del mercato del lavoro.

2. Sviluppare politiche importanti di lungo termine, anche se danno poco profitto immediato. Ciò comporta imparare a ricombinare il visionario e il pragmatico, e a trovare un linguaggio politico coinvolgente, con cui parlare a pubblici diversi. Esempi di questo principio, applicato all’area metropolitana milanese, sono l’applicazione (finora disattesa) delle politiche di contrasto ai cambiamenti climatici e delle politiche energetiche alternative.

3. Accettare che i cittadini abbiano identità e prospettive molto frammentate, e che solo una minoranza sia coinvolta nei processi politici, in quanto è diminuita la coscienza di classe, e con essa il baluardo della politica di massa. La leadership richiede la comprensione della specificità degli interessi e della molteplicità dei dialetti, e un impegno costante per identificare e promuovere l’interesse pubblico. Uscire dall’isolamento della politica per coinvolgere un maggior numero di forze sociali, di movimenti e di dinamiche culturali, e lavorare attivamente per costruire un più ampio panel di cittadini coinvolti nell’attività politica. Solo questo lavoro, pur critico, permette di rinnovare le istituzioni civiche.

4. Promuovere forme internazionali di governance e di azione al di là del locale, per rendere possibile un’ampia piattaforma democratica, specie nelle attività economiche e nella finanza, pur riconoscendo che la legittimità politica e l’identificazione popolare sono ancora prevalentemente locali. La leadership si gioca inevitabilmente nelle sedi internazionali, mentre la società civile è organizzata nei confini delle competenze territoriali. Una dote dei leader politici del XXI secolo sarà la capacità di dialogare e di operare autorevolmente a livello locale e internazionale.

I leader politici sono il problema o la soluzione dei nostri guai democratici? Se i leader politici non sono in grado di affrontare le attuali impegnative sfide e cambiamenti, è reale il pericolo di un’ulteriore deriva verso una democrazia fantasma: un sistema caratterizzato dall’estraneità alla vita civile della politica, dal continuo declino dei partiti di massa, e dall’ulteriore diminuzione dei politici che governano in modo pro-attivo e lungimirante, con il sopravvento di politici con visioni a breve termine, allarmiste e populiste.

È improbabile che l’apertura dei nuovi percorsi politici avvenga da sola, essa dipende dalla comprensione delle difficoltà della leadership e dall’impegno a spezzare i circoli viziosi che ostacolano la politica democratica. Come mitigare e superare queste difficoltà?

Per comprendere il disincanto verso la politica è importante il focus sul rapporto tra leader e followers. Il grido di rabbia populista è in parte una forma distorta di domanda di rinnovamento dell’idea e della pratica della sovranità popolare, e questa deve essere separata dalle sfaccettature populiste antidemocratiche. Questo implica dare priorità alla sfida di rianimare la cultura civica, attraverso la moltiplicazione di “contatti democratici” e una significativa decentralizzazione del potere politico. Richiede ai politici di collegarsi alle espressioni e alle manifestazioni della vita civile, uscendo dai confini delle loro funzioni istituzionali. Ciò presuppone riforme che favoriscano la politica “dei piccoli plotoni”, ossia l’accesso agli appalti della pubblica amministrazione delle piccole realtà del terzo settore e delle organizzazioni di volontariato, anziché l’attuale politica che favorisce i grandi operatori sociali.

Inoltre, al di là delle tradizionali competenze e capacità di comunicazione, i leader devono portare le loro radici personali nella sfera pubblica, per promuovere visioni e per perseguire obiettivi più “dal basso” e sostanziali. Ma questo sarà efficace solo se numerosi altri soggetti – come i media, il terzo settore, i sindacati e il mondo delle imprese – sosterranno il progetto di rinnovamento, e lavoreranno per rilegittimare la politica come l’espressione più vitale dell’ethos di servizio pubblico democratico.

In conclusione, la risoluzione dell’attuale crisi di leadership dipende dalle relazioni fra leader e società civile. I partiti devono capire il modo migliore per ampliare e rinnovare le loro capacità, e gli strateghi devono pensare con più coraggio e meno tattica a quello che oggi significa una buona leadership, per non accelerare la transizione verso una nuova fase pericolosa per la vita della democrazia rappresentativa.

 

Giuseppe Longhi

 

*Michael Kenny è professore di economia politica all’University of London e Nick Pearce è direttore dell’IPPR (The Institute for Public Policy Research, un importante think tank inglese specializzato in politiche locali). L’articolo “Leadership politica in un’epoca di anti politica” è in: ‘Juncture‘, 16.9.2014, http://www.ippr.org/juncture/political-leadership-in-an-anti-political-age)

 



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