6 maggio 2015

PIETÀ RONDANINI, SOLO QUALCHE OMBRA


Ho sostenuto lo spostamento della Pietà Rondanini sin dal primo giorno, forte di alcune fondamentali ragioni. La necessità di dare più spazio a una delle maggiori sculture di quel tardo Rinascimento che già si apre alle inquietudini dei tempi nuovi ed esprime non solo il tormento di un’esistenza che avverte la fine, ma anche il desiderio di un ultimo e per questo già eterno abbraccio alla madre, quasi un ritorno nel suo grembo, in una ritrovata unità.

07biscottini17FBPiù spazio per raccontare il mistero del morire e del rinascere, visto come atto d’amore infinito, che nascendo dalla fede di essa si nutre ed essa esprime, come una preghiera o, più laicamente, come una poesia triste e dolce dell’umano patire.

Per questo spazio in più, per questa poetica vicenda, si poteva, si doveva osare di spostare la Pietà dalla sua mirabile sede e portarla altrove, dove le mura dello stesso salone dell’Ospedale spagnolo, consentissero nuovi e più larghi percorsi, in cui udire, nel cuore e nell’anima, gli echi di dolori lontani e pur così densi di vicende umane vicine. Tutto il soffrire dei nostri tempi, da quello dei barconi di un mare oggi divenuto triste cimitero, a quello delle vittime di un terrorismo che ci inquieta e ci desta nuove paure, fino alla violenza che ci è troppo spesso vicina. Pietà per questa umanità che soffre e muore. Questo il grido che Michelangelo dolcemente trattiene, per diffonderlo, ora più che mai, nello spazio allargato del nuovo museo.

Un museo per questa necessità può, anzi deve, trovare il coraggio di cambiare. Quante volte abbiamo detto che la musealizzazione di un allestimento (il riferimento è allo storico intervento BBPR) è cosa inspiegabile e forse anche oltraggiosa nei confronti dell’opera d’arte, la cui valorizzazione interpella la contemporaneità e si nutre dei tempi cambiati. Da ultimo questo cambiamento potrà, lo si spera ardentemente, suscitarne altri, per rinnovare il Museo del Castello e finalmente portarlo all’altezza di ciò che conserva e degli altri grandi musei del nostro mondo.

Ma perché, si dice, iniziare proprio dalla Pietà e cioè dall’opera forse esposta meglio di altre? Come non ricordare allora che essa era collocata al termine di un percorso, peraltro bellissimo, di scultura lombarda. Straniera in terra straniera si nascondeva dietro un muro , quasi in disparte, separata in casa. Oggi ha uno spazio suo, dove raccontare la sua storia e la sua unicità. Speriamo nel futuro, dunque, e confidiamo nel cambiamento che, una volta avviato, è come un’onda lunga di cui non si vede la fine.

Tutto questo lo si dice pur con un certo amaro in bocca che, per onestà nei confronti di quel museo a cui si aspira e delle stesse ragioni che avvalorano il cambiamento in atto, non si può tacere. La posizione della Pietà Rondanini nel suo nuovo allestimento non convince. Entrando nel salone appare di schiena, sagoma inerte e pesante, priva di qualsiasi fascino. Poi la si ritrova la bellezza rinascimentale di Michelangelo, non appena giungendole appresso e dunque già di lato ad essa, ne si scopre il primo nitore delle forme. Perché non porre la Pietà un poco più in fondo e mostrarla frontalmente, dal suo punto di vista naturale, quello pensato da Michelangelo? Che cosa meravigliosa, poi, girare attorno e scoprire la ruvidezza del non finito.

E inoltre perché quel piedistallo grigio, un poco dozzinale, privo anch’ esso di una certa idea … forse in attesa di un modo diverso di porre un poco più elevata la superba scultura, si poteva tenere il piedistallo precedente, ingannevole certo, ma non privo di una sua ragion d’essere, almeno nella qualità. Oppure, ma lo si dice senza sapere dei tanti tentativi che si saran fatti, si poteva immaginare un piedistallo in pietra, meno ingombrante, insomma, di questo tanto museale ingombro.

E a proposito di pietra, perché la si è esclusa dal pavimento, a favore di un parquet che nulla c’entra con quel salone e con la scultura stessa? Perché non avvertire che in quel modo si stravolgeva tutto lo spazio, dando un senso raffinato e borghese a ciò che invece aspira a tutt’altro?

Note in margine, ma pur note di un amaro avvertito, non senza dubbi, non senza i molti ma che hanno accompagnato l’iter di questo cambiamento che, lo si ripete, merita considerazione, attenzione e forse anche qualche critica, non certo per dare ragione a chi avrebbe voluto che nulla si facesse, ma per dire che la museografia è davvero cosa difficile, che richiede mille attenzioni, ma anche un poco di poesia.

 

Paolo Biscottini

 



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