29 aprile 2015

LA VERA ROTTAMAZIONE: SI LEGGE D’ALEMA, S’INTENDE PRODI


Ce n’è voluto un po’, ma alla fine il tempo, che è galantuomo, rivela l’autentico segno dell’avventura renziana: rottura netta con la stagione riformatrice dell’Ulivo. Gabellato come cacciata di un ceto politico immobile e rissoso, contraffatto come finale regolamento di conti tra democrazia e veterocomunismo, il cambiamento renziano più che rivoluzionario si dimostra “eversivo”. Non si tratta né di D’Alema né di Bersani, né di Cuperlo né di Fassina, si tratta di Prodi, della sua sintesi “cattocomunista” e del suo Ulivo.

03_ucciero16FBÈ  stato zitto per un po’, il totem di tutta una stagione del riformismo italiano, forse perfino gratificato nella sua perfida ritrosia dall’impeto iconoclasta della nouvelle vague renziana ma alla fine i conti, che devono tornare, non tornano per niente. Partito come sempre con sussurro, un borbottio quasi inudibile, il vento contrario dell’ex leader, dell’Ulivo prima e dell’Unione poi, è divenuto brezza, poi vento, infine quasi tempesta.

Non riconosce alcuna continuità tra la sua politica e quella dell’attuale Presidente del Consiglio, cui preferisce senza alcuna remora il predecessore, quel Letta di cui apprezza il metodo del “cacciavite” almeno quanto lo indispone lo scomposto precipitare in avanti di Renzi. Per Romano Prodi, l’azione politica di Renzi contraddice su tutta la linea valori guida dell’Ulivo, stile, metodo democratico e programma. Ne aveva forse oscura percezione dall’inizio ma i fatti hanno dato sostanza concreta a preoccupazioni e sospetti.

Decisivo è stato lo snodo dell’elezione del Presidente della Repubblica, cui Prodi aspirava, non senza ragioni. D’altro canto, non era stato proprio Renzi ad aver ripudiato, lui ora campione della disciplina di partito, il candidato di partito Marini per fargli spazio e non aveva gridato proprio lui al tradimento dopo la vicenda dei 101? Prodi attendeva la chiamata al soglio presidenziale ma ha dovuto assaggiare di nuovo amarezza e disillusione: convocato a Palazzo Chigi si è sentito dire che andava bene per … un incarico all’ONU.

Silenzioso fino allora, si è sentito tradito nelle aspettative che nutriva, dove il riconoscimento personale si sarebbe unito al sigillo su di una lotta di popolo ventennale: disilluso, ha dovuto prendere atto della sensibilità di Renzi all’elettorato post berlusconiano, non meno decisiva dell’Ego di un leader che non tollera figure forti vicino a sé. Qui lo strappo personale è divenuto segno di una distanza politica ormai non più occultabile.

Una distanza tra il riformismo ecumenico ulivista, ispirato ai principi della stretta connessione tra azione politica e corpi sociali, e l’arrembante e scomposto “nuovismo” renziano, neppure definibile nel campo social liberale. Del PD, erede legittimo, con tutti i pregi e difetti, del convergere delle culture politico sociali che hanno dominato il novecento italiano (dottrina cristiano sociale e comunismo democratico), non resta più nulla, giusto il marchio che non dispiace ai nuovi padroni per la sua capacità di alludere a un riformismo tanto “debole” nella sostanza quanto “forte” nelle apparenze, un bello specchio per allodole – elettori ormai disillusi e disorientati.

Fatto fuori Berlusconi, ora tocca per forza a Prodi, che, come quello, non ci sta ma fatica a trovare risorse, tempi ed eredi. E del resto cosa ha fatto anche lui per vent’anni (misura aurea dello spazio temporale negazionista del “nostro caro leader”)? Certo, Enrico Letta. Certo, una figura di politico che, pur relativamente giovane, mantiene tutti i caratteri del politico ulivista, nel tratto personale, nel metodo politico, nella cautela di riformista delle cose e non delle parole, nelle relazioni intrecciate con il Gotha del riformismo europeo e internazionale, che tuttora guarda con sospetto all’uomo di Firenze, forse perché ne intravede, nello stile più che nei contenuti, l’inquietante continuità con il pregiudicato di Milano, entrambi visti come espressione dell’inesausta fucina di caratteristi italiani imprestati alla politica.

Che Prodi indichi Letta come suo successore appare più che comprensibile, ed anche qui l’avversione a Renzi e al renzismo trova la sua massima caratura simbolica, segnando visione e proposta politica idealmente erede della stagione ulivista. Basteranno simboli e ricordi, o non siamo piuttosto di fronte al sommarsi, infine impotente, di livori personali, di figure sbiadite dal tempo, di energie impoverite dalle sconfitte, insomma di un sentire della memoria, pur lodevole ma incapace di saldarsi con la cultura diffusa ormai nel Paese, così distante da quella temperie in cui si formò l’Ulivo, e con i suoi soggetti sociali, stretti sempre più tra rabbia, isolamento e impotenza?

Se guardiamo alla politica dell’oggi, scorgiamo un forte centro gravitazionale e ai lati le macerie di forze e figure che pure un tempo erano dominanti, o almeno forti protagoniste. Domani un sistema elettorale progettato ad hoc per dare potere senza adeguata rappresentanza, toglierà ulteriore spazio di manovra, ostacolando la formazione di forze politiche capaci di indicare alternative praticabili. Per chi non vede in Renzi un interlocutore credibile sul fronte riformatore, sembrano intravedersi in nuce due prospettive, precarie e in competizione tra loro: la riproposizione dell’Ulivo, riveduto e corretto, e un cotè di sinistra – sinistra, dove si è candidata la “coalizione sociale” di Landini.

Mentre quest’ultimo però traccheggia, la mossa di Prodi – Letta avrebbe il pregio di indicare un soggetto già oggi spendibile per aggregare la vasta area dello scontento PD, offrendo il calduccio ristoratore di una memoria ancora cara a tutti. Ma basterà evocare l’Ulivo 2.0 per riaprire una prospettiva riformatrice, capace di riconnettere passato e futuro in un presente efficace?

E che dicono infine le “anime belle” del PD, numi tutelari dello spirito originario dell’Ulivo? Che dicono quelle che, a Roma ma anche a Milano, hanno benedetto il Renzi “terminator” della tardiva egemonia post comunista, godendo delle umiliazioni ripetutamente inflitte ai suoi leader? Che fanno ora, che sono invocate da Prodi a unire gli scudi a quelli di Bersani e Cuperlo, e perfino di D’Alema?

Faranno spallucce, intente a raccogliere i dividendi di un accorto posizionamento, o rimetteranno in discussione, con le decisioni ultime, anche se stessi. Ne fa di scherzi la politica.

Giuseppe Ucciero



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