29 aprile 2015

EXPO: DONNE, TERRA, LAVORO E CIBO UN DIBATTITO IN CORSO


Negli ultimi anni, grande attenzione è stata dedicata agli effetti del sostanziale aumento delle acquisizioni di terra su larga scala da parte del settore privato, prevalentemente straniero, in molti paesi in via di sviluppo. Riconoscendo i rischi del land grabbing – inclusi quelli legati alla sicurezza alimentare – attori chiave nel mondo dello sviluppo hanno avviato una riflessione su come gli investimenti possano creare opportunità per lo sviluppo economico e migliorare le condizioni di vita delle popolazioni delle aree rurali e su come, dunque, regolamentarli al fine di promuovere modelli di investimenti equi, sostenibili e di mutuo beneficio per tutti coloro che ne sono coinvolti. In Mozambico, come in altri paesi, una delle soluzioni individuate è quella della promozione di partenariati tra investitori e comunità o gruppi di piccoli produttori rurali. I casi qui presentati mostrano la complessità e le ambiguità di queste soluzioni e ci permettono di approfondire la riflessione su donne, terra, lavoro e cibo in prossimità di Expo.

05pellizzoli16FBNel distretto mozambicano di Sussundenga, nella Provincia di Manica, vicino al confine con lo Zimbabwe, l’associazione KK dal 2009 alleva vacche da latte grazie alla formazione e al sostegno ricevuto da una cooperativa di produttori agricoli statunitense. Con 26 vacche per 23 membri (due dei quali sono donne vedove e gli altri registrati come coppia), l’associazione riesce a ottenere dai 70 agli 80 litri di latte al giorno. Terminata la mungitura, i membri portano il latte presso la casa del presidente dell’associazione, viene calcolata la quantità consegnata da ciascuno e il latte viene travasato nei contenitori per il trasporto. I bambini e i ragazzi, in bicicletta, consegnano il latte a un’impresa danese, che nel 2012 ha rilevato una piccola impresa zimbabwana e che produce, processa e commercializza formaggio, latte e yogurt.

La segretaria dell’impresa annota sul registro la quantità ricevuta e paga la KK a fine mese il prezzo concordato al litro. Il tesoriere dell’associazione divide il ricavato tra i membri sulla base delle quantità di latte prodotte. I membri dell’associazione ritengono di avere la capacità di allevare più vacche, cosa che permetterebbe loro di aumentare la produzione e, dunque, le entrate. Con un guadagno mensile che si aggira intorno ai 2.500 meticais (circa 65 euro) (1), i membri dell’associazione si ritengono comunque soddisfatti perché l’accordo con l’impresa permette loro di non soffrire più la fame – soprattutto nel periodo peggiore dell’anno, quello delle piogge.

Poco distante, nel distretto di Belas, i membri dell’associazione IV Campo coltivano peperoncini e fagiolini che vengono venduti a una impresa sulla base di un contratto individuale di produzione che stabilisce il prezzo al quale il prodotto verrà acquistato, gli standard di qualità da rispettare e l’obbligo per il contadino di ripagare (attraverso una detrazione sul guadagno) i costi di sementi, fertilizzanti e pesticidi forniti dall’impresa stessa. Ogni membro coltiva un appezzamento di terra (registrata nel catasto a nome dell’associazione) di circa un decimo di ettaro, una dimensione che, secondo l’impresa, può essere lavorata da una coppia adulta senza che sia necessario impiegare manodopera o i bambini della famiglia. La produzione e il guadagno sono estremamente variabili, ma generalmente le donne sono le migliori produttrici, siano esse membri registrati dell’associazione o lavorino un appezzamento di terra intestato al marito.

In quest’ultimo caso, l’impresa favorisce il passaggio di intestazione dell’appezzamento di terra, di modo che il guadagno sia ricevuto – e, auspicabilmente, controllato – da chi lavora la terra. Tutti i membri dell’associazione coltivano un altro appezzamento di terra, che si trova generalmente nei pressi della loro abitazione e che viene prevalentemente dedicato alla produzione per il consumo familiare. La produzione per l’autoconsumo è migliorata nel corso del tempo perché i contadini riescono ad utilizzare parte degli input che ricevono dall’impresa per il campo familiare.

Questi modelli di partenariato tra associazioni di piccoli produttori e produttrici e imprese private, che possono apparire virtuosi perché basati su modelli partecipativi di sviluppo locale, soprattutto a fronte dei conosciuti fenomeni di land grabbing, ci mettono tuttavia di fronte a una serie di ambiguità e dinamiche che raramente emergono nel dibattito più mainstream su donne, terra, produzione agricola e sicurezza alimentare.

Primo, le donne lavorano sempre nelle imprese famigliari come manodopera non pagata o con limitate capacità di controllare il reddito che producono. Secondo, è necessario ricostruire i nessi tra le spinte alla produzione commerciale dei piccoli contadini e la qualità del cibo prodotto e consumato dentro l’aggregato familiare. Terzo, le entrate prodotte dai questi accordi generalmente permettono di fare fronte alle crisi alimentari, ma difficilmente producono un surplus che possa essere reinvestito; in ogni caso, il rischio della mancata produzione rimane sulle spalle del piccolo produttore. Quarto, la diversificazione della produzione rischia di essere un’arma a doppio taglio per le donne, che si trovano a dover gestire – ma, come detto sopra, non necessariamente a controllare – svariate attività produttive e riproduttive che si basano sul loro lavoro gratuito e su una presunta infinita disponibilità di tempo. Quinto, le forme associative sono cruciali per l’empowerment delle donne, ma la loro promozione non può prescindere dall’analisi delle disuguaglianze di potere e di genere esistenti a livello locale che rischiano di relegare le donne a sacche di produzione marginali, cristallizzando così le disuguaglianze esistenti anziché produrre cambiamento.

Queste dinamiche complesse e interconnesse richiedono approcci articolati e che siano in grado, anche, di valorizzare i saperi e le esigenze identificate da produttori e produttrici rurali, soggetti della produzione di conoscenza, le cui voci, nei grandi dibattiti ed eventi in corso, rimangono spesso inascoltate.

 

Roberta Pellizzoli

 

(1) I dati qui presentati sono stati raccolti dall’autrice nel corso di una ricerca su campo svolta nel 2011-2012. I risultati di questa ricerca, insieme a quelle dei colleghi che hanno partecipato al progetto IAO/Gender sono pubblicati in Donne, terre e mercati. Ripensare lo sviluppo rurale in Africa sub-sahariana (a cura di R. Pellizzoli e G. Rossetti, CLEUP, Padova, 2013).

 

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