29 aprile 2015

cinema – I BAMBINI SANNO


 

I BAMBINI SANNO

di Walter Weltroni [Italia, 2015, 113′]

musiche Danilo Rea

 

cinema16FBI riferimenti del documentario di Walter Veltroni, hanno origini lontane, non solo in tutte le pellicole del passato che sui bambini hanno incentrato il loro racconto cinematografico, (‘Billy Elliot‘, ‘Io non ho paura‘, ‘Stand by me‘ e ‘400 colpi‘ tra gli altri) a cui il regista fa un sentito omaggio in apertura di film.

Riprendono quella strada tracciata da quel maestro del cinema italiano che era Comencini, a cui il film è dedicato, quando rappresentò il mondo dell’infanzia che gli girava intorno, attraverso la realizzazione dei 6 episodi del programma televisivo “I bambini e noi” prodotto dalla RAI nel 1970 e andato in onda otto anni dopo.

Quarant’anni fa Comencini si era messo in ascolto, senza maniera e senza una chiave interpretativa precostituita, girando l’Italia per intervistare e seguire tanti bambini con storie differenti, per appartenenza geografica, estrazione sociale e culturale, e ne aveva fatto un quadro collettivo dell’infanzia, con grande rispetto e pudore, restituendone i pensieri sulla loro condizione, e rivelando anche il suo personale stupore, sul racconto che ne era uscito.

Veltroni ha cercato di riprendere quel filo, con l’idea di raccontare lo sguardo sull’Italia di oggi, attraverso le voci di 39 bambini tra i 9 e i 13 anni, sollecitati a parlare di tanti argomenti differenti, cercando di far affiorare quale consapevolezza, istintiva e ragionata insieme, i bambini abbiano della società in cui sono immersi, dei suoi cambiamenti, e delle relazioni non sempre facili con il mondo adulto e con le ‘cose’ dei grandi.

Temi difficili, domande non semplici a cui i bambini rispondo in modo diretto, con profondità, questo anche grazie alla scelta di non parcellizzare le loro risposte in funzione dell’efficacia e dell’effetto di una battuta singola, ma lasciando scorrere il discorso, a volte saggio, a volte ingenuo, quasi sempre autentico. Lo sguardo dell’autore rimane fuori campo, come la voce, scegliendo ambientazioni che rischiano di sembrare troppo simili, e privilegia volti e voci, per lasciare spazio a un racconto dai tempi distesi dei protagonisti, evitando la strada più facile della raccolta di frammenti abilmente montati.

Questo permette a chi guarda di entrare nelle storie, per saperne di più di questi bambini che hanno vissuti diversi. Di lasciarsi coinvolgere nelle rappresentazioni personali delle loro storie, sia che abbiano origini nella comunità di un orfanotrofio in Colombia, sia che rivelino la capacità di misurare la propria adolescenza con la piccola stanza di un albergo occupato, o di mostrare con sincerità la difficoltà di fare i conti con il talento non scelto di bambino geniale, o ancora la forza bella di un rapporto di sorellanza di reciproco aiuto.

Lo scorrere quieto dei racconti permette di comprendere che i bambini sanno, sanno cosa sia la crisi, sanno che cosa siano le famiglie allargate, l’assenza di un genitore, la perdita di un lavoro, l’amore nelle diverse forme, e che per loro ‘futuro’ è una bella parola.

Se lo spaccato sociale dei documentari di Comencini era più articolato e meno omogeneo, il ritratto meno consolatorio e più spiazzante e sorprendente (e la sua lunghezza tutta utile, mentre in questo caso qualche lunghezza poteva essere alleggerita), la visione in sala del film di Veltroni innesca nel pubblico adulto (e dicono anche in quello dei bambini) un vivace sentimento di partecipazione: si ride, si sorride e si pensa, ci si commuove.

Si è coinvolti dalla diversità e vivacità delle voci di tutti, con pizzico di nostalgia per quel tempo in cui alla domanda ‘Cosa serve nella vita per essere felici’ si poteva anche rispondere subito: “Sognare”.

Adele H.

questa rubrica è a cura degli Anonimi Milanesi

rubriche@arcipelagomilano.org

 



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