22 aprile 2015

LA BRIGATA EBRAICA E L’EQUIVOCO PALESTINESE


Ci risiamo, si avvicina il 25 Aprile ed iniziano le polemiche sulla presenza della Brigata Ebraica. A Roma i sui rappresentanti hanno deciso di non partecipare al tradizionale corteo, a Milano la scorteranno i militanti del PD, che cercheranno di evitare tensioni e contestazioni di faziosi, che purtroppo già ci sono state nella ricorrenza dell’anno scorso.

 

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Ma perché succede tutto questo? Per uno strano meccanismo che associa la Brigata alla politica del governo israeliano e per la confusione della sua bandiera che assomiglia a quella di Israele, alcune componenti di sinistra tendono a negare la legittimità della partecipazione al corteo.

 

Se partiamo da una valutazione storica, in particolare riguardo le celebrazioni del 70° della liberazione, la presenza è più che giustificata. La Brigata fu inviata sul fronte italiano ed era composta da giovani più che motivati e con la stella di David sulla manica dell’uniforme, a dimostrazione che gli ebrei non erano solo vittime predestinate, ma che sapevano rispondere colpo su colpo.

 

Il battesimo del fuoco fu sul fiume Senio e nell’assalto al monte Ghebbio. Le perdite furono pesanti, tanto che il 14 Aprile la Brigata ricevette l’ordine di fermarsi alla periferia di Bologna e di non proseguire. Il Governo inglese era preoccupato di polemiche sull’uso di soldati ebrei come “carne da cannone”. Ecco perché non compare nella iconografia ufficiale della liberazione. Comunque, se si dovesse ragionare con la stessa logica, è bene precisare che negli anni della seconda guerra mondiale i palestinesi correvano ad arruolarsi sia nelle SS, sia nei reparti di volontari arabi inseriti nel Regio Esercito. In Nordafrica, gli arabi, inquadrati nell’Arabische Bataillon parteciparono al rastrellamento di ebrei, rinchiusi nella sinagoga di Tunisi e che furono poi trasferiti in campi di lavoro. In generale l’interesse per il mondo arabo e musulmano dei nazisti era ricambiato, tant’è vero che nei rapporti che arrivavano dalla Palestina si diceva che “gli auguri per la vittoria di Hitler, che scaccerà gli ebrei, si usano come forma di saluto”.

 

Per quanto riguarda invece l’attenzione di Mussolini, furono costituiti reparti di volontari provenienti dall’Iraq, dalla Palestina e dalla Transgiordania, inquadrati nelle Camicie Nere, di particolare interesse è la divisa: le doppie fiamme nere sulle quali è posto il fascetto dorato,sono sovrapposte alle mostrine rettangolari con i colori del nazionalismo arabo rosso,bianco, verde e nero, che richiamano l’attuale bandiera palestinese. Roma e Berlino garantirono al Gran Muftì la costituzione di uno stato nato dall’unione di Iraq, Siria, Palestina e Transgiordania, governato secondo le leggi della Sharia.

 

I giovani desiderosi di arruolarsi non mancarono, non furono assolutamente solo propaganda, ad esempio un reggimento volontari tunisini camicie nere, riuscì a respingere gli americani con 65 caduti, 96 dispersi e 161 feriti. Lo stesso reparto dopo l’8 Settembre fu sciolto, gli ufficiali italiani aderirono alla Repubblica Sociale, gli arabi passarono direttamente con i tedeschi.

 

Anche la divisione SS Handschar, voluta dal gran Muftì di Gerusalemme, ebbe migliaia di caduti e diversi decorati. Inoltre è giusto precisare, che i volontari provenienti da possedimenti coloniali inglesi e francesi, se catturati erano considerati disertori.

 

Questo per rimarcare che strumentalizzare la storia, soprattutto quando si parla di atti fondanti la nostra Repubblica, è sempre molto pericoloso e soprattutto insopportabile dopo 70 anni, per cui è meglio che il 25 Aprile senza retorica, sventolino solo le bandiere di chi ha realmente combattuto dalla parte giusta.

 

 

Massimo Cingolani

 



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